In tempi pre-elettorali in cui gli assessori-candidati decidono le mostre e ne accelerano i tempi di allestimento, può accadere di trovarsi di fronte ad un’esposizione interessante, come questa Magazzini siciliani all’Albergo dei Poveri di Palermo, che recupera tutto un patrimonio inedito o poco noto di opere conservate nei depositi dei principali musei siciliani di pertinenza regionale.
Pur con alcune inevitabili cadute di livello nella qualità e nell’interesse dei testi proposti, si tratta comunque di una selezione straordinaria di tele, nella maggior parte dei casi di primissima scelta, stipate in quei “pozzi senza fondo” che sono i depositi dei musei isolani; sempre generosi di preziosi ritrovamenti, ma avidi custodi delle proprie meraviglie, fino, talvolta, a paradossali lunghi periodi di inagibilità -reale o presunta tale- dei propri spazi.
Il coordinamento scientifico della mostra è stato affidato a Vincenzo Abbate, direttore della Galleria Regionale di Palazzo Abatellis, da anni impegnato nel recupero dei fondi del museo da lui diretto, attraverso sistematiche campagne di studio e mirati interventi di restauro. Inevitabilmente, dunque, la parte del leone spetta in mostra alla pittura del Seicento -secolo su cui negli ultimi anni si sono orientati in larga misura gli studi di Abbate- e di fatto le sezioni dedicate al XVII secolo sono anche quelle che hanno una loro più matura coerenza espositiva, forte ormai, evidentemente, anche di una solida letteratura scientifica di riferimento.
Si apprende così che il timido naturalismo di un autore come Vito Carrera, di formazione tardomanierista ma presto sollecitato da inediti interessi per un colorismo d’intonazione neo-veneta, apre la strada alle ricerche del giovane ‘Monrealese’ Pietro Novelli, la cui prima maturità si arricchisce dei fondamentali confronti con la pittura napoletana, genovese e fiamminga a lui coeve. Noti sono del resto i fitti contatti di natura politica, economica e sociale che legavano Palermo a quelle realtà geografiche nel Seicento. E ai molti testi di scuola napoletana, riberesca soprattutto, e genovese, provenienti dalle grandi collezioni aristocratiche siciliane, fanno esplicito riferimento i criteri di selezione delle opere, anche in considerazione dei nuclei fondanti le prime raccolte pubbliche dell’Ottocento.
Ampio spazio è dedicato ancora alle diverse generazioni di allievi del Novelli, ai pittori fiamminghi e ai “fiammingheggianti” seguaci del Van Dyck, in Sicilia nel 1624, e agli svolgimenti del caravaggismo dopo i soggiorni del Merisi a Siracusa, Messina e Palermo.
Più esigue e poco rappresentative le testimonianze che riguardano i secoli XVIII e XIX, fatti salvi alcuni inediti capolavori, come il bellissimo Pescatorello di Francesco Lojacono, proveniente dal Museo del Castello Ursino di Catania: frammento di una ben più estesa e articolata situazione culturale che aspetta ancora di essere pienamente messa a fuoco. Sia dal punto di vista degli studi che dei relativi contesti museali. A Catania -da cui provengono quasi tutte le tele dell’Ottocento in mostra- manca ancora, per esempio, un allestimento definitivo delle sale del museo.
Ma non è solo l’Ottocento a non aver trovato ancora posto negli allestimenti dei musei dell’isola. Da oltre cinquant’anni si attende, per fare ancora un altro esempio, l’ampliamento degli spazi di Palazzo Abatellis destinati ad accogliere le collezioni dei secoli XVII-XVIII, sia di pittura che di arte decorativa.
Il merito di questa esposizione -certo non una novità in Italia- è quello di portare a conoscenza di un pubblico più vasto, rispetto ai pochi privilegiati “addetti ai lavori” che hanno accesso ai depositi dei musei, le incredibili risorse di cui questi dispongono. Ma il compiacimento lascia presto il posto al rammarico per una situazione ancora di estrema emergenza: è di interventi strutturali forti che il sistema museale siciliano ha bisogno; di spazi adeguati, investimenti, risorse e progetti tali da dare spessore scientifico e continuità anche ad un’attività espositiva, che può trovare anche il suo successo di immagine e di pubblico, solo là dove riconosce come suo necessario presupposto una programmazione che faccia dello studio e della ricerca il suo primo e più importante compito.
davide lacagnina
mostra visitata il 30 aprile 2004
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