Cambia il mezzo ma il target rimane il medesimo: l’indagine onirica e visionaria del mistero cosmico. Giunta al secondo appuntamento, la serie di collettive ideata da Helga Marsala si conferma un progetto intrigante e ben stutturato, capace di piegare diversi media artistici all’analisi di uno stesso concetto. Dopo il video e la fotografia,
Effetto Stalker convoca ora un manipolo multietnico di giovani pittori, invitati a utilizzare le suggestioni tarkovskijane come “filtri visivi” per un’operazione di riscrittura pittorica del paesaggio.
Il corposo lavoro di
Ivan Bazak colpisce per l’immediata potenza informale – quasi a-cromatica – e per un’attitudine nordica alla rarefazione. La visione paesaggistica, raccolta in un lungo e stretto orizzonte, tende all’offuscamento nebbioso dei volumi, mimetizzati nello svaporare del nevischio: le grasse e veloci pennellate di Bazak riproducono la forza invasiva di una slavina, che ingoia ogni traccia umana nel suo incedere.
I tre piccoli “grovigli botanici” di
Francesco De Grandi sembrano fornire uno sguardo interno alla natura: caratterizzate da un’attenzione calligrafica per il segno e imbevute di un gusto per la metamorfosi dal sapore goethiano, le tele tracciano percorsi energetici e labirinti di radicali. La dimensione del sottobosco, evocata da un’illuminazione intermittente, suggerisce una successione di forme molteplici emerse dal
continuum biologico.
Angelina Gualdoni si apre un varco nel paesaggio, tastandone la percorribilità e la resistenza. In
The veil and the touch l’artista americana libera la scena dalle sue tipiche architetture utopiche in sfacelo, riconquistando l’ariosità del vuoto. Lo spazio pittorico è leggero, invitante, liquido, proteso verso un misterioso “assente”. L’impossibile identificazione dello scorcio naturale e il grande
close up che decontestualizza i particolari del territorio “velano” la composizione di un’anonimia sospesa e atemporale.
Meno convincente
Chow Chun Fai, tecnicamente ancora instabile e poco incisivo sul piano della scelta dei soggetti. Indagando la contaminazione espressiva con il cinema attraverso la combinazione disfasica di immagine e sottotitolo, il suo smalto su tela – tutto giocato intorno al senso dell’inquietudine e del pericolo – rivela in realtà uno stratagemma un po’ debole.
Vero gioiello della mostra è
Trans[CE]Location di
Om Soorya, scorcio frontale di una complessa e immaginifica megalopoli srotolata nella sua profondità. L’urbanità si struttura come uno scenario stratificato, fra la bidimensionalità immota dei volumi e un sotterraneo brulicare indefesso di piccole luci e barlumi. L’apparente immobilismo che congela la congerie urbana coniuga la perfezione formale dello
skyline fantascientifico con il ritmo dettato da silhouette organiche e profili neri.
Il secondo appuntamento di
Effetto Stalker si rivela così una piccola e ben riuscita ricognizione internazionale sulla stato della pittura.