Esiste una forma di conoscenza, fenomenica e intuitiva, che vive dell’esigenza di collocare attribuendo coordinate spazio-temporali. Per questo si è fatto ricorso alle mappe geografiche e alla cartografia, perché “indicare dove le cose sono significa già rispondere, in forma implicita e irriflessa, alla preliminare questione della loro natura”. L’urgenza contemporanea, da tempo indicata da Farinelli, è quella forse di un manuale che ridefinisca lo statuto “dei principali modelli di descrizione del mondo in nostro possesso: la mappa anzitutto, e poi il paesaggio, il soggetto, il luogo, la città, lo spazio” (Farinelli, 2003).
Così Raffaele Quida (1969), nella mostra personale “Geolocalizzazioni”, curata da Carmelo Cipriani presso l’Archivio Storico Comunale di Palermo, affida il tentativo di circoscrivere e situare determinati territori a un processo di localizzazione che trova nel dato fisico e geografico il solo punto di partenza per una speculazione dagli esiti concettuali.
Ogni luogo ha una leggenda intima, una litania privata che vive nella memoria e nei ricordi di chi lo ha vissuto e vi ha proiettato la propria storia. All’interno delle teche della sala Pollaci Nuccio dell’ex convento domenicano, Quida dispiega i tre cicli di opere facenti parte della serie fino ad ora inedita, fruibili anche per mezzo dell’app inquadrArt, che, attraverso la semplice inquadratura, agevola la lettura dei rispettivi contenuti multimediali.
Raffaele Quida, Mappatura dei luoghi (Geolocalizzazioni), fotografia e spilli su carta montata su legno, cm 50×60
Nonostante l’eterogeneità tecnica ed espressiva, sembra che tutti i lavori annotino l’esigenza concorde di riconsiderare il senso stesso della mappatura e i suoi possibili campi di applicazione. Rilevare dati e fenomeni, per restituirli attraverso una forma di rappresentazione leggibile e comprensibile, può riguardare l’assetto fisico di un luogo, ma può anche inoltrarsi all’interno di passaggi e strettoie geografiche, ripiegando verso la decodifica di processi di significazione altri, afferenti dai recessi della memoria e del ricordo. Nel ciclo Mappe, l’artista valica la rappresentazione cartografica, portandone agli estremi limiti la natura convenzionale e simbolica: attraverso l’uso della carta carbone, sovrappone infatti piante di città diverse, per dare vita a strutture urbane reticolari, potenziali ma inesistenti. Affiorano così i segni della grafite, a definire una serie di luoghi non realmente identificabili. La descrizione geografica scompare a favore di una conformazione planimetrica fallace, che lascia intuire un nuovo codice rappresentativo delle città, le cui identità si assottigliano sotto il peso grave dell’uniformità paesaggistica che realmente le sta trasformando.
Quida proclama l’assenza, crea luoghi invisibili, delinea di fatto una nuova geografia fossilizzata nel dominio dell’irreale. Questo forse il senso della carta carbone, esposta come matrice di un tempo topografico retrivo, controparte luttuosa dei segni grafici identitari delle mappe, i cui calchi affiorano impercettibili sulla superficie nera della carta copiativa.
Nel ciclo Mappatura dei luoghi l’artista oltrepassa le fenditure grafiche della cartografia, per districare invece le maglie inenarrabili di paesaggi incastonati nella dimensione atemporale di alcune vecchie foto. L’immagine fotografica, insegna R. Krauss, è un indice capace di liberare un oggetto (in questo caso un luogo) dalle sue contingenze temporali, per restituirlo al presente. La traccia di un paesaggio è un non-luogo, non è geolocalizzabile, non ha sussistenza vitale se non nel ricordo dei suoi testimoni. Eppure l’artista si avventura nel tentativo di reificarne la dimenticanza, intercettando il loro ricordo nel punto esatto in cui può innestarsi la genesi di nuove narrazioni. Inizia dunque a mappare su un supporto cartaceo, a puntualizzare (letteralmente), attraverso l’uso di spilli, le ipotetiche coordinate della memoria.
Sparisce qualsiasi riferimento esplicito alle mappe, invece, nell’ultimo ciclo di opere esposte, Senza titolo. Su fogli bianchi di carta termica fotosensibile, Quida attiva l’inconscio universo emotivo del tempo, predispone una superficie sulla quale lascia che ad agire sia la luce solare, impronta indicale della durata che l’artista si limita a rivelare, annotando il periodo di esposizione. Ma anche questa è un’indagine cartografica, un tentativo di addentrarsi nella cruna del tempo attraverso la coltre luminosa che marca, come fosse il grado zero dello spazio, la superficie di carta incontaminata.
Le misure spazio-temporali si ricongiungono quindi in quella sintesi percettiva che, così come intesa da Bergson, implica una dimensione foriera di memoria, perché intrinsecamente legata a una durata. Tutto trova compimento nei nessi della soggettività che, inesauribili, si orientano in una geolocalizzazione più intima che fisica.
Giuseppina Vara
mostra visitata il 16 marzo
Dal 9 marzo al 29 marzo 2018
Raffaele Quida, Geolocalizzazioni
Archivio Storico Comunale
via Maqueda, 157, Palermo
Orari: dal lunedì al venerdì 09:00-13.00, mercoledì 09:00-13:00/15:30-17:30
Info: tel. +39 3207714234, associazionedeladamar@gmail.com