La curatrice Agata Polizzi, non poteva scegliere citazione migliore da mettere in esergo al suo testo che accompagna la mostra di Michele Tiberio da Pantaleone a Palermo. La frase è di un maestro dell’arte Povera Italiana, Giovanni Anselmo, e suona così: “La vita, il mondo, io, siamo delle situazioni di energia. Il punto è di non risolvere tali situazioni cristallizzandole, bensì di mantenerle aperte, vive, in funzione e in coincidenza del nostro vivere”. Michele Tiberio è un artista trentenne, siciliano di nascita e formatosi in Inghilterra come ingegnere e designer, ha frequentato, infatti, il Royal College of Art di Londra. Tiberio è approdato a un linguaggio che, di fatto, si pone sul tracciato dell’arte povera. La sua mostra personale alla galleria Pantaleone parte dalla riflessione del poeta Osip Mandel’štam sulla nascita del linguaggio e si sviluppa sul rapporto tra cultura e natura concentrandosi sul genere della natura morta. Tiberio però ragiona sul termine inglese del genere ossia Still Life e sul suo significato di sopravvivenza. Sopravvivono, infatti, gli elementi naturali, foglie, steli e muschi alla morsa del cemento. Le sue sculture sono forme rigidamente geometriche, cilindri, parallelepipedi che subiscono il degrado naturale, ruderi romantici che la natura aggredisce da dentro. In questa drammatica lotta tra idea del progetto e caos della natura affiora l’arroganza di quest’ultima strappando all’isocromia bigia dell’artificio la levigatezza corrompendola con pertugi e crepe di caldi gialli, d’intensi verdi quasi fluorescenti, residui di una vita che si ribella alla compressione della cassaforma alla stretta del fare umano. La rigidità del progetto soccombe così al tripudio del caso, mostrando come l’anima biologica delle cose è capace di conservare la memoria del paesaggio, le sue tracce, il suo respiro. L’afflato della natura detronizza la liscia apparenza dell’artificio, sicché la politezza delle superfici della scultura è minacciata dal degrado che rende precaria ogni speranza di permanenza. Così queste piccole colonnine, testimoni della tecnica industriale si screpolano e vacillano mostrando il fallimento della civiltà dimostrando quanto risulti transitorio il fare umano.
Michele Tiberio, forse il sussurro nacque prima delle labbra
Tiberio per ogni scultura attende la sorprendente sopravvivenza delle erbe, che è epifania del mondo che si manifesta quale sineddoche del selvaggio, nell’incontrollabile germinare di colori e forme interiori. Tiberio raccoglie durante le sue passeggiate sui monti del Molise pezzi di natura, quasi appuntasse i ricordi delle visioni e selezionando questi incontri con le piante, pone in seguito queste esperienze all’interno di stampi per il cemento armato, reperti che immette, quindi, in un processo asfissiante e snaturante ma quest’atto finisce invece per svelarne le proprietà. Il cemento, infatti, si degrada a tal punto da trasformarsi da arrogante registra della natura a servo di scena del piccolo spettacolo del disvelamento del verde procedere delle fronde. Poggiate al muro oppure isolate su un piedistallo, le sculture di Tiberio invece di evocare la Vanitas Vanitatis finiscono per celebrare il trionfo della vita e, travalicando ogni senso illusorio dell’arte, esibiscono le qualità di ciascuna specie in un singolare erbario. Tiberio approda a questo linguaggio dopo aver interrogato le iridescenze dei pigmenti impastati nel cemento, mostrandolo in forme geometriche legate da linee sottili, flessuosità contrapposte a masse squadrate che in seguito hanno preso il sopravvento guidando la ricerca formale verso l’integrazione di rami e fogliame. Il paragone con la ricerca di Anselmo è più che evidente anche se la pelle di queste opere raggiunge a volte la scabrosità dell’informale e l’instabilità delle sculture di un Paul Kleer, è comunque curioso come la giovane arte italiana ritrovi la fiducia nella riflessione sui generi come il paesaggio, mostrando nel fallimento della manipolazione del reale, la vittoria del vero.
Marcello Carriero
Mostra visitata il 25 novembre
Dal 26 ottobre al 30 novembre 2017
Michele Tiberio, forse il sussurro nacque prima delle labbra
Galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea,
via Vittorio Emanuele, 303, Palermo
Orari: da martedì a sabato dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 19:00
Info: info@fpac.it