Una regione, quarant’anni di storia, quaranta opere d’arte e un possibile gioco di suggestioni. Un viaggio alla scoperta dei fatti che hanno caratterizzato la vita del Paese e della Sicilia tra il 1968 e il 2008. Anni in cui il mondo si è sperimentato come un reticolo complesso, fatto di nodi e fili intrecciati: un’immensa matassa in evoluzione, di cui anche l’arte è stata strategica testimone.
L’idea di base è affascinante, ma il rischio di forzature fa spesso capolino, soprattutto se a coincidere (idealmente) nel percorso espositivo e nella griglia concettuale sono proprio alcuni episodi della storia d’Italia e alcune opere d’arte contemporanea acquisite da collezioni sicule. Opere esposte qui in successione, secondo l’anno in cui sono entrate a far parte del patrimonio pubblico o privato dell’isola. Meccanismo probabile, anche se a tratti artificioso. È in Sicilia, dunque, che sono approdati negli anni pezzi di gran pregio, spesso acquistati con tempestività rispetto all’anno di produzione, quasi che l’atto dell’acquisizione rispondesse a una condizione emotiva peculiare, correlata agli stessi eventi storici.
Fenomeno complesso, il collezionismo cos’altro è se non lo specchio di una cultura, il termometro del gusto, un riflesso dello spirito del tempo, ma anche la chiave per mettere in luce i più profondi meccanismi dell’animo umano?
Superato un inutile e oscuro passaggio, in cui monitor a pavimento e una foresta di pannelli neri tentano d’immergere lo spettatore nel cuore del discorso storico, ci si ritrova dentro un’infelice stanza che inchioda a un angolo di muro il lavoro di
Carla Accardi, inibendone la forza del ritmo segno-colore e inficiandone l’ambivalenza percettiva con la spazialità tormentata della scultura di
Pietro Consagra, quasi appoggiata al dipinto.
Sono queste, in ogni caso, opere che testimoniano di un’assoluta modernità, contrapposta al linguaggio tradizionale della
Vucciria di
Guttuso. A configurarsi, per l’isola, è una geografia del gusto decisamente disomogeneo.
Un errore nella cura dei dettagli rovina l’esposizione di una delle opere più significative, un arazzo di
Boetti immobilizzato in un’onda solida che gli toglie levità, invadendo pesantemente lo spazio. Il gioco diventa intrigante quando è animato da coincidenze folgoranti:
Le libertà di
Giulio Turcato innescano felici suggestioni grazie a un titolo che colpisce per il rimando agli eventi salienti degli ultimi anni ‘80.
La seconda sezione cronologica testimonia quanto variegata possa essere l’interpretazione della storia che, dagli anni ‘90 a oggi, ha spesso declinato tragedie, crisi e alienante smarrimento. Si delinea in questo contesto un collezionismo attivo e d’indiscussa qualità, nonostante alcune opere esposte perdano parte del loro fascino in quanto segmenti estrapolati da progetti originari più ampi (
Hans Schabus,
Maurizio Cattelan,
Farhad Moshiri,
Costa Vece).
Stupore, infine, per i mobili appesi al soffitto di
Jannis Kounellis: l’insolito “affresco” tridimensionale, unica opera tra quelle in mostra realizzata ad hoc per Palermo e acquistato dal Museo, è l’affascinante conclusione della mostra, che rimarca uno degli obiettivi principali di Riso: dare valore a ciò che viene prodotto nell’isola e per l’isola.