Tirare un bilancio di cento e più anni di produzione artistica non è impresa da poco. Tanto più se è il Novecento ad essere oggetto specifico di un’indagine che deve fare i conti con un percorso non lineare, caratterizzato da violente improvvise fratture e da accelerazioni senza precedenti nei meccanismi di ricerca e sedimentazione delle stesse istanze artistiche.
Tutto ciò si complica ulteriormente se si decide, come nel caso di questa mostra palermitana, di lavorare su una porzione territoriale -la Sicilia- di quel multiverso irriducibile e differenziato che è appunto, artisticamente parlando, il secolo appena trascorso. Si tratta di differenze difficilmente assimilabili ad un contesto unico, o esclusivo, come quello isolano. Soprattutto se troppo spesso (ieri come oggi) questo risulta impettito su tronfie posizioni autoreferenziali, sempre pronte a rivendicare una speciale identità tutta siciliana -e mediterranea in senso lato- come promessa ricorrente di una qualità in molti casi ancora da verificare.
Quello che si propone è allora un primo bilancio, dichiaratamente parziale, del contributo isolano al dibattito artistico del Novecento, in cui non mancano certo personalità di alto profilo a dare ragione di un’origine e di una formazione siciliane di indubbio spessore.
A partire dalla stagione felice dei Florio, che aveva portato agli inizi del secolo l’apertura all’Europa (complice la fitta rete di interessi economici che la famiglia di imprenditori aveva all’estero) e che per gli artisti dell’isola si traduce con le prestigiose ribalte internazionali delle Esposizioni Universali, dei Salons e delle gallerie parigine più à la page.
Così Lojacono, De Francisco, Catti, Leto, De Maria Bergler, Terzi e Rutelli intrecciano una fitta rete di relazioni con le più aggiornate situazioni di pittura e scultura a loro contemporanee. Penalizzati da spazi inadeguati, i loro lavori, fra cui alcuni importanti inediti, aprono coraggiosamente la strada ai primi esiti del Futurismo siciliano. La preziosa linea sintetica tardo simbolista e post-impressionista che Rizzo, Corona e Varvaro ereditano dai loro predecessori, si frantuma presto nelle iridescenze senza posa delle scomposizioni di paesaggi e mitiche visioni da sogno della loro produzione in mostra.
Passando per certo picassismo post-guttusiano (Migneco, Mirabella), per le personalità non facilmente allineabili di Fiume, Greco, Messina e Tosini, e l’ormai involuto segno grafico di Caruso, brillante nelle opere degli anni ’50, si arriva agli anni più recenti in cui le scelte curatoriali riflettono inevitabilmente l’impronta personale di Maria Antonietta Spadaro che da critico ha seguito la scena artistica isolana negli ultimi decenni. Accanto alle raffinate marine di Guccione si trovano così le composizioni astratto-figurative di Sacco e D’Aguanno, le rarefatte poesie in trasparenza di Canzoneri e della Leone, gli esperimenti di cinetica di Lauricella, il neo-pop contestatario di Alfonso Leto, la colorata, fragile consistenza di Germanà ed il concettualismo decisamente naif di Patti. Chiudono la rassegna i dipinti di Modica e Taravella.
davide lacagnina
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sicilia..terra aspra..sensuale..ma con colori meravigliosi..con artisti acutissimi..basta pensare alla storia della letteratura..tomasi di lampedusa..leonardo sciascia..grandi interpreti del nostro '900 ..
roberto
BELLA MOSTRA DAVVERO..........ACUTISSIMA........C'E' DA DIRE MA MOLTI DEGLI ARTISTI SN DAVVERO TANTO UTILI?