L’incontro suggestivo tra gli alberi monumentali del Parco delle Madonie (un’area boschiva incastonata tra le montagne, a pochi chilometri dal mare di Cefalù) e undici artisti diversi per nazionalità e formazione, ha rivelato non pochi spunti di riflessione sul controverso rapporto tra uomo, natura e scienza. Testimoni di un dialogo silenzioso fra i luoghi e gli artisti sono le opere presentate: fotografie, video, dipinti, disegni e installazioni dal forte potere evocativo che parlano, nei diversi linguaggi della contemporaneità, di alberi antichi e preziosi e dei paesaggi cui danno vita. La cornice scenografica non poteva che essere l’Orto Botanico, riconvertito per l’occasione dalla curatrice Helga Marsala nella declinazione botanica di una postmoderna
wunderkammer.
La visita, lungo il percorso tra i padiglioni neoclassici e le serre, necessita della lentezza di una passeggiata nel bosco. S’inizia dall’ironico diavolo con zoccoli caprini (in realtà il ramo di una quercia abbattuta da un fulmine) di
Luca Francesconi, che mette in scena un’intera comunità con le sue leggende e tradizioni. Dal sorriso ironico alla contemplazione:
nel lightbox
Roverella, le foto della monumentale Roverella di Macchia dell’Inferno a Castelbuono, scattate da
Hiroyuki Masuyama in diversi momenti della giornata, si cristallizzano nella sfaccettata visione finale che le assomma tutte, con un singolare effetto di contrazione temporale; e ancora Masuyama, col video
1000 Olives in Sicily, affida la pratica meditativa alla velocità di mille immagini di secolari ulivi che scorrono come in un mantra.
Nella serra delle succulente, il mimetismo apparente dell’
Acero contuso di
Francesco De Grandi coglie di sorpresa e inquieta, tra lo splendore dei cactus, quasi che la sua collocazione fosse frutto di un’assurda classificazione fitopatologica. Il padiglione centrale del Gymnasium ospita il lavoro di
Roderick Hietbrink: una fotografia,
Cancello, giocata sul concetto di soglia; e un video,
Holly Road, in cui il bosco di agrifogli di Piano Pomo compare solo concettualmente, come meta di un viaggio.
Entrati nel candido herbarium s’incontrano due cicli di
Stefano Graziani, uno dei quali dedicato all’Abies nebrodiensis, specie madonita in via d’estinzione, fotografata in diverse fasi di crescita. A fianco, seduce la poesia dagli alberelli di Abies fatti crescere da
Nicola Toffolini dentro cassetti aperti di una bianca scrivania, metafora dei sogni e delle ambiguità che alimentano le dinamiche di salvaguardia dell’ambiente.
Il bianco caratterizza altri due lavori: quello di
Ed Pien, magica apparizione di divinità boschive tra fitomorfi arabeschi, e quello di
Dacia Manto, che occupa per intero la serra delle felci, trasformata in un laboratorio alchemico per la trasmutazione di materia vegetale. Con la candida polvere, l’artista traccia disegni che ricordano cristalli di neve visti al microscopio.
In quest’ultimo lavoro come in altre opere esposte (le oniriche fotografie di
Elspeth Diederix, quelle in bianco e nero di
Mika Yamaguchi o il metamorfico
Studio dal vero di
Serse) l’accento è posto sull’intrinseca, transitoria bellezza della natura. Espressa nell’armonia con cui si dispongono le foglie su un ramo, ma anche nel lento, impietoso declinare verso il disfacimento.
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mi chiedo perchè una professionista come la Marsala non si dedichi solo allo scrivere, dove è indubbia la sua statura... riciclare progetti altrui e 'curare' una mostra, è cosa ben diversa...