“
Scambio reciproco e simultaneo di posto o situazione”. È con questa accezione che la collettiva invita a interpretare le due parole francesi
Chassés-Croisés. Le diverse nazioni d’origine delle artiste rappresentano solo la base di un progetto che va oltre un mero incontro multiculturale. Il terreno in cui avviene l’incrocio al quale si allude verte sul futuro dell’ispirazione artistica contemporanea: la residenza.
Il tema dell’identità, messo alla prova mediante lo sradicamento dal proprio contesto, ha generato reazioni opposte; in alcuni casi di interazione e accoglienza, in altri respingenti, di ossessivo attaccamento alle proprie radici. Quest’ultimo è l’esempio di
Patricia Kaersenhout, nata in Olanda da genitori originari del Suriname, che rivendica senza mezzi termini il suo tratto distintivo: “
Io non posso vedere il mondo in un altro modo, sono nera e guardo il mondo dalla prospettiva dell’essere nero”. Lo spazio a lei dedicato è un tripudio di installazioni caratterizzate dall’uso di stoffe tradizionali africane provenienti da India, Africa, Cina e Suriname, cucite a formare veri patchwork
geografici.
Non come citazioni nostalgiche, ma forme di denuncia, vessilli contro la globalizzazione. Poco sembra esserle rimasto del soggiorno a Palermo, forse solo la vecchia edizione de
La capanna dello zio Tom trovata fra le bancarelle della città, usata per celare i volti dei soggetti nella serie fotografica
Zio Tom Project.
Anne-Clémence de Grolée e Laura Brinkman Reimann
si muovono in direzioni simili, nella scelta di concentrarsi su oggetti-stereotipo. La prima, parigina residente a Palermo, svolge la sua residenza in Olanda e non ha resistito a fotografare i tulipani quando, delusa, li ha visti in aeroporto congelati e venduti come souvenir. L’artista indaga inoltre sulla rappresentazione moderna del paesaggio, contaminando, mediante un Photoshop dagli esiti volutamente artificiali, potere e tradizione, palazzi impenetrabili e mucche.
Laura Brinkman Reimann rivisita un classico della Pop
Art: il detersivo.
Composición 2 eleva nuovamente il prodotto di consumo a icona, rappresentandolo in serie e circondandolo da una nuvola di fumo che induce lo spettatore a soffermarsi.
Curioso allestimento per la sala d’ingresso, dove i quadretti di collage e silicone, opere di
Esther Burger, si stagliano come fiori su steli di metallo; l’idea è quella di evocare il giardino del Paese delle meraviglie che attrae, ammalia e allo stesso tempo incute diffidenza. A guardarle da vicino, le minuziose composizioni hanno poco di favolistico; ci si aspetta di leggervi una storia, ma questa finisce per essere negata dall’artista stessa, che crea attraverso una cancellazione.
Si distinguono i disegni di
Ruth Morán Mendez,
esposti a formare un polittico. L’uso della semplice linea genera a volte figure che attraggono senza un perché, senza bisogno di troppo chiasso. A movimentare il vernissage
Marjolein Wortmann: l’artista ha preso tanto a cuore il più profondo spirito matriarcale siciliano da erigerne a divisa-simbolo la vestaglina da casa, facendola indossare, in tutte le fogge e versioni, alle visitatrici; peccato che anche le più
âgé hanno ammesso di non averne mai fatto uso.