Otto anni trascorsi a osservare le più belle metropoli del mondo. Insolito
flâneur,
Olivo Barbieri (Carpi, Modena, 1954) attraversa le città rimanendone però ben a distanza. Più che in mezzo a vicoli, strade e affollate gallerie, l’artista è a suo agio tra le corsie del cielo, piano immateriale su cui si proiettano brulicanti agglomerati abitativi: i luoghi fotografati da lassù acquistano la qualità poetica di una rarefazione aerea e la freddezza matematica dell’umano ingegno progettuale.
Barbieri monta su un elicottero, raggiunge i 100-150 metri d’altezza e da lì esplora le sue lillipuziane città. Dall’Europa all’Asia al Nord America, i
Site_specific suggeriscono inedite dinamiche di investigazione, laddove la corsa a volo d’uccello sul reale – con cui sperimentare strategie panottiche di conoscenza e controllo – coincide con una fuga onirica verso inafferrabili luoghi del fantastico.
Roma, Shanghai, New York, Las Vegas. Molte le metropoli immortalate con quello sguardo clinico che nulla concede all’emotività e all’errore; uno sguardo che tramuta il caos in struttura rigida e che seziona gli spazi del quotidiano: nell’alterazione visiva data della distanza estrema pare di scorgere solo freddi modellini. Città vere, accelerate e ipertrofiche, diventano giocattoli, plastici, curiosi oggetti virtuali. La realtà si confonde con l’immaginazione, grazie alla lucentezza dei colori saturi e alla perfezione dei dettagli, affidati a un fuoco selettivo. Una iper-realtà, dunque, che in quanto tale si supera, capovolgendosi nell’artificio.
A Pechino il processo s’inverte. Le sette grandi fotografie presentate ad Alcamo mostrano una città in espansione, città mutante travolta da una concitata spinta in avanti che cancella anche gli ultimi brandelli di tradizione. Stavolta, però, non è la realtà a diventare improbabile, ma è la finzione a suggerire l’armonia rigorosa con cui l’uomo ha ridisegnato il proprio paesaggio abitativo.
L’occhio di Barbieri sceglie di soffermarsi su una Pechino miniaturizzata, quella ricostruita nell’incredibile plastico in scala custodito alla Beijing City Planning Exhibition Hall. Come scrive la curatrice Emilia Valenza, la città “
trova nell’escamotage del plastico, la formula più coerente per tradurre il suo sogno di modernità”, rivivendo la propria corsa verso il futuro nell’inganno di un’ambiziosa auto-simulazione.
Le micro-concrezioni architettoniche di
Site specific_Beijing 08 congelano l’ininterrotto flusso cittadino in una quiete innaturale, la stessa che abitava le altre città – quelle vere – del ciclo
Site_specific: città vivissime eppure consegnate al silenzio. Qui lo sguardo che ispeziona ogni centimetro della
maquette mette in movimento l’oggetto inerte. Come a voler produrre un incantesimo, la fotografia penetra l’ossessiva precisione della gigantesca copia, provando ad accenderne le meccaniche segrete. È così che la popolosa Pechino in miniatura assomiglia, in certi scatti, a un circuito elettronico, a una scheda informatica di cui pare d’avvertire l’ostinato ronzio.
Meno efficace il film dedicato al cielo di Pechino e all’alto tasso di inquinamento che lo minaccia. Costruito con gli idilliaci paesaggi di plastica trasmessi dal grande plasma di un centro commerciale,
Beijing Sky gioca apposta col kitsch, ma non scansa l’effetto decorazione.