Nonostante le indubbie difficoltà di un pesante clima di stagnazione culturale, poteva accadere, nella Palermo dei primi anni ’60, che un gruppo di giovani intellettuali, con pochi mezzi e senza troppi clamori, desse vita ad un festival internazionale di musica contemporanea di straordinaria qualità ed interesse. Paolo Emilio Carapezza, Francesco Agnello e Antonino Titone riuscirono con le Settimane di Nuova Musica a proporre il capoluogo siciliano come cuore pulsante della neo-avanguardia italiana, centro aperto al confronto e alla sperimentazione di eclatanti esperienze di rottura con il sistema culturale allora imperante. Fu proprio nella cornice di una di queste “settimane”, nel corso di un convegno tenutosi a Santa Flavia dal 3 all’8 ottobre 1963, che una trentina di scrittori, critici e poeti (fra cui ricordiamo i nomi di Umberto Eco, Luciano Anceschi, Alberto Arbasino, Renato Barilli e Gillo Dorfles ), si costituiva in gruppo, il Gruppo 63.
Il movimento raccoglieva l’eredità dell’antologia I Novissimi. Poesie per gli anni ’60 , a cura di Alfredo Giuliani, con testi di Pagliarani, Sanguineti, Balestrini e Porta, oltre che dello stesso curatore: un’eloquente dichiarazione d’intenti che si affidava ad un registro poetico inedito che, mutuando dal linguaggio proprio dei nuovi media –giornali, pubblicità, radio e televisione- procedeva per strappi e accelerazioni, verso una sempre più radicale frammentazione
Le ragioni di questa rivoluzione stavano nell’insofferenza di fronte ad una cultura ufficiale che continuava ad ignorare i radicali cambiamenti dell’Italia del boom economico: la crescita demografica, l’improvvisa espansione dei centri urbani, l’accesso ai canali di comunicazione di massa, il benessere diffuso che incrementava meccanismi feroci di consumo -anche culturale- con cui era bene iniziare a fare i conti. Dalla volontà consapevole di non “mercificare” l’arte, vennero immaginati dunque i primi “non-prodotti” artistici che miravano a sconvolgere radicalmente ogni possibilità di fruizione media da parte del pubblico ortodosso. Il linguaggio diviene il primo necessario campo di sperimentazione; è nella forma, nella creazione di un nuovo medium che si legittima la denuncia del caos dell’esistenza contemporanea. Ci si poneva di fronte ad una realtà così spietatamente messa in luce, anche e soprattutto nei suoi tratti di nuova cultura popolare –pop, altrimenti detto-, con un atteggiamento fortemente critico; ma mai di militante impegno politico. Il gruppo teneva anzi a ribadire il proprio carattere apolitico e anti-ideologico, convinto che solo attraverso l’eversione della forma (significativo in tal senso un saggio di Eco del ’62, Del modo di formare come impegno sulla realtà), si potesse rendere la labirintica frammentarietà del quotidiano.
Lo scontro con quanti (Sanguineti, Balestrini), all’interno del gruppo, rivendicavano l’urgenza di una precisa posizione politica portò allo scioglimento del gruppo. Le contestazioni del ’68 separarono nettamente i moderati che avevano vissuto l’avanguardia come un’esperienza squisitamente letteraria ed i più politicizzati che attraverso la rivista “Quindici” fiancheggiarono le lotte studentesche, rinunciando alla letteratura per l’azione politica.
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Grande gruppo 63!
Ma allora la poesia visiva non era solo a Firenze!?