Un impegno è un impegno. Sulle pagine di questa rivista l’assessore Granata aveva promesso che la sua amministrazione avrebbe dedicato una crescente attenzione all’arte contemporanea e così è stato. Almeno nelle intenzioni.
Aveva sostenuto allora che in Sicilia i turisti vengono solo per vedere l’archeologia (come se poi il “bene culturale” -mai definizione fu più astratta e infelice- avesse ragione solo in maniera strumentale a significative ricadute turistiche…). Ergo non poteva esistere migliore strategia per promuovere il contemporaneo se non in tandem con le molte ricchezze archeologiche dell’isola. Sotto questi auspici Iconica raccoglie tutta una serie di opere e di interventi ambientali di artisti contemporanei nei principali siti e musei archeologici della regione. Isole minori comprese.
L’idea è stimolante. La storia dell’arte è del resto interamente attraversata dal confronto con l’arte antica. Ne sono state riproposte le forme auree, nei classicismi che hanno gloriosamente segnato ogni torno di secolo. Ne è stato messo profondamente in discussione il sistema culturale, nel recupero problematico dei valori “negativi” di conflitto e autarchia che esso esprimeva. Dall’incontro-scontro fra queste due istanze nasce la tragedia del contemporaneo: apollineo e dionisiaco -insegna Nietzsche– non sono che risvolti opposti e complementari di una stessa medaglia e rivelano persistenza e attualità del mito greco come archetipo strutturale fondante la nostra coscienza contemporanea.
Basta dare una rapida scorsa alle emergenze dell’arte del XX secolo per rendersi conto di come questo orizzonte controverso di opzioni linguistiche e scelte di contenuto abbia intrecciato relazioni -spesso anche ambigue- di dipendenza, suggestione o rielaborazione creativa di quelle istanze: dalle avanguardie alla metafisica, dai vari rappels a l’ordre alle più recenti esperienze di neo-avanguardia e di nuova pittura.
Poderosa è la mole allora di inedite significazioni, e di nuove possibilità ancora di indagine e di approfondimento, che possono accendersi, rispetto a questi temi, in un laboratorio straordinario quale la Sicilia certamente è: isola del mito fuori da ogni retorica, crocevia di eroi, di dei e semidei, dimora di Eolo e di Efesto, è la terra in cui gli elementi primi della creazione che queste due divinità rappresentano -l’aria e il fuoco- costituiscono quella ratio primigenia da cui tutto origina e in cui tutto ha fine.
Non mancavano dunque spunti o termini di confronto autorevoli ad un progetto, come Iconica, che vuole contaminare antico e moderno per potenziare entrambi e restituire così continuità ad un discorso che troppo spesso viene parcellizzato, quando non addirittura ghettizzato, in arbitrari compartimenti stagni. Tuttavia, nonostante le mille precauzioni dichiarate -doverose nel merito di un progetto così complesso e articolato- e le cautele scientifiche ribadite in sede di presentazione della mostra, l’impressione è che non siano state sufficientemente ragionate le premesse su cui fare incontrare produttivamente archeologia e arte contemporanea.
La selezione degli artisti e delle opere è stata interamente affidata ad Alessandro Riva che ha fatto le sue interessanti, e in buona parte condivisibili, scelte in totale autonomia. Solo in un secondo tempo sono stati incontrati i responsabili delle varie soprintendenze archeologiche regionali con cui concertare la collocazione delle opere. Queste, dal canto loro, non sono state specificatamente pensate e realizzate per i luoghi che le ospiteranno fino a settembre. Tranne che in alcuni casi, come per il Satiro di Mazara di Mimmo Rotella, si tratta di opere prese in prestito da altri contesti, anche particolarmente datati negli anni, e assimilate solo a posteriori ai siti archeologici regionali. Per di più, secondo modalità poco convincenti per le dimensioni -piccole!- e la capacità di relazione delle opere con contesti monumentali importanti, sia dal punto di vista del prestigio e della qualità delle collezioni, che dell’interazione con l’ambiente circostante nel caso di più vaste aree archeologiche.
Se il SelinutEfebo di Luigi Ontani del 1972 è un sospeso e immateriale gioco di rimandi e confronti con il celebre Ragazzo conservato nel museo archeologico di Palermo -la cui asciutta, quasi ieratica, iconicità rivive nella bidimensione astratta della stampa fotografica dell’artista-sciamano-, la pur suggestiva collocazione dell’opera, in quello che fu già l’allestimento per le teste di Pantelleria ritrovate la scorsa estate, le crea intorno un contesto del tutto asettico, in cui viene meno ogni pretesa di dialogo o incontro con l’antico. Più riusciti allora appaiono, in questo senso, gli interventi di Livio Scarpella e Paolo Schmidlin, le cui sculture colorate introducono un elemento di disturbo nelle lunghe teorie di antichi busti che si inseguono lungo le pareti dello stesso museo palermitano, con spiazzanti effetti di ridefinizione iperrealista dell’idea stessa di bellezza classica.
Al museo di Agrigento sono state destinate le tele di Carlo Maria Mariani e la recente serie di acquarelli di Alessandro Bazan: due diversi temperamenti e due diversi modi di “sentire” la pittura mediano un approccio non banale -ora più algido e intellettualizzato, ora più sensuoso e carnale- alle collezioni del museo. A Siracusa si trovano invece le tele sdrucite di Luca Pignatelli, da anni impegnato in una ricerca che lega archeologia classica e archeologia industriale in sintesi di originale sospensione di ogni giudizio. Quale reperto archeologico si rivelano da sé le teste di Velasco al neonato museo archeologico di Pantelleria, mentre a
Ma se le dimensioni contenute di alcune opere mantengono il loro status di oggetto artistico “al chiuso” dei musei, più fragile è la percezione degli interventi ambientati nelle aree archeologiche dell’isola. Se a Solunto Paola Gandolfi propone nell’acropoli la sua Mitologia, i cartelli giallo limone di Antonio Riello mettono in guardia dalla nidificazione dell’uccello preistorico Roc al centro del tempio dorico di Segesta. A Selinunte l’angelo ligneo di Aron Demetz presiede l’ingresso al tempio di Hera, mentre a Piazza Armerina Sandro Chia e Luigi Serafini giocano con la tecnica del mosaico e i soggetti animali rappresentati nei celebri pavimenti della Villa del Casale.
A volere tirare un bilancio di questa esperienza, si può senz’altro dire che le premesse sono ottime, ma anche che i risultati non sono all’altezza delle aspettative. La fragilità di talune proposte, rispetto all’uso che se ne è fatto, va purtroppo tutta a discapito delle opere stesse, pur validissime in sé in certi casi, e segna il risultato di una partita già persa in partenza con la maestosa bellezza e
davide lacagnina
articoli correlati
Augustea Capita. Le teste di Pantelleria, le foto di Fabrizio Ferri
Intervista a Fabio Granata
Maurizio Cattelan curerà, insieme a Sam Stourdzé, una mostra all’Accademia di Francia a Roma: negli spazi di Villa Medici, la…
Sergio Bonelli pubblica una nuova graphic novel dedicata alla straordinaria vita di Otama Kiyohara, pioniera nell’integrazione tra arte orientale e…
A Milano nasce la Fondazione Emilio Scanavino, per celebrare un maestro del Novecento: si inaugura con una mostra che racconta…
Gli Uffizi di Firenze hanno acquisito per 450mila euro uno dei capolavori del grande Salvator Rosa, a rischio di disperdersi…
Il calendario del 2025 si apre nel segno dell’arte con IFA - Italian Fine Art e BAF - Bergamo Arte…
Jonathan Calugi, Ray Oranges e Alberto Casagrande sono gli artisti italiani di public art a cui Plenitude ha affidato la…
Visualizza commenti
OTTIMA ED INTERESSANTE INIZIATIVA,
MI AUGURO CHE ABBIA SUCCESSO.
SE MI POSSO PERMETTERE, SUGGERIREI ALL'ASSESSORE DI ORGANIZZARE QUALCHE EVENTO SUI (TANTI E BRAVI) GIOVANI ARTISTI SICILIANI.
MATTEO GIAMMANCO (AG)
Sottoscrivo