Non è difficile distinguere una mostra normale da una coraggiosa. Non è difficile cogliere, tra le centinaia di esposizioni che si allestiscono in Italia, quelle che sono difficili per definizione, innovative per vocazione, riuscite per organizzazione.
Al Palazzo delle Papesse, sempre di più punto di riferimento per l’arte contemporanea in Italia e non solo, si parla di Israele e Palestina.
Un evento che si pone sul crocevia di problematiche e rapporti conflittuali, difficili, complessi.
Una mostra non cambia le cose ma fa riflettere su di queste. Le Repubbliche dell’Arte, al loro secondo appuntamento, dopo l’excursus sull’arte elvetica nel ’99, ci conducono attraverso i drammi diversi di due paesi opposti. Arabi ed ebrei, palestinesi ed israeliani.
L’allestimento, in primis, è comunicativo: gli israeliani nel Palazzo delle Papesse, i palestinesi in altri spazi espositivi della città. Mille difficoltà per il direttore delle Papesse, Sergio Risaliti, hanno convinto lo staff dell’inopportunità di affiancare artisti appartententi a realtà così distinte. Allora le opere del palestinese Kahil Rabah invadono la sala del Palazzo Pubblico – in Piazza del Campo – dove La Maestà di Simone Martini si fronteggia con il Guidoriccio da Fogliano; qui è esposto Womb e per una volta i capolavori gotici diverranno altro.
Ma torniamo nel Palazzo delle Papesse dove espongono 25 artisti tra i migliori d’Israele. Percorrendo i tre piani espositivi passiamo per le grandi campiture scritte di Sgan-Cohen, per le geometrie inquietanti di Kupferman, per il tratto cezaniano di Shakra, fino ad arrivare agli pseudo-collage proiettati in aggetto verso il visitatore di Slabosky. E’ impossibile citare tutti gli artisti, tutti lo meriterebbero. Ricchissima la sezione fotografia e quella video, curata da Sarit Shapira.
Opere di grande livello, spesso di grandissima levatura ma alle quali viene limato parte dell’interesse considerando la sorpresa che ci aspetta nel caveau del Palazzo. Si sa: nei caveau si conservano tesori e lingotti ed è un tesoro, visibile solo per 10 minuti per ogni ora, l’acquerello di Paul Klee “Angelus Novus ”. Probabilmente l’opera più terribile e sconvolgente del Novecento, sicuramente una delle più discusse, analizzate e famose grazie anche a Walter Benjamin, proprietario del dipinto a partire dal 1921. Un’opera d’arte contemporanea rivestita realmente da complessi significati. Un dipinto ipnotizzante. Giovanna Melandri, in visita alla mostra, ha affermato che infondo l’opera non è cosi terrificante come se l’aspettava: non riusciamo a darle ragione.
massimiliano tonelli
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Caro Massimiliano,
sono felice che tu abbia scritto l'articolo sulle mostre. Spero che tu possa mettere anche il calendario delle visite guidate, credo di avertele già inviate.
Ci sentiamo presto un super saluto Maria