Il “non sentirsi mai pienamente a casa propria” era per Freud il tratto fondamentale dell’evento perturbante. Il familiare che si presenta sotto mentite spoglie fino a trasformarsi nel suo opposto: l’estraneo, l’inafferrabile. Questa coesistenza e oscillazione tra i due tratti (familiare ed estraneo) genera, secondo Freud, l’evento perturbante e genera, secondo noi, le sculture di Anish Kapoor (Bombay, 1954).
Mirabile la scultura Phantom in pietra nera di Belfast posta all’ingresso della Galleria Continua che ospita la personale dell’artista. Il cuore oscuro del masso di pietra è qui concesso totalmente al godimento dello spettatore. Ma una vertigine si crea nella nostra percezione appena tentiamo di immergerci in questa perfetta e inafferrabile cavità. Nessun elemento fa da appiglio alla nostra visione dandoci l’impressione di una cavità potenzialmente infinita.
Simili considerazioni possiamo fare anche per le gouache su carta e per l’affascinante video Lost and wounds Object in cui il buio della stanza sembra implodere nello sfaldarsi dei toni freddi verso il centro dello schermo.
Fin qui niente di nuovo. L’artista ci aveva già abituato a questo genere di esperienze. Ma, dopo il ciclopico intervento alla Tate Modern di Londra, una nuova attitudine sembra riconfermata nel site specific project Ascension. L’ingresso nella platea del ex-cinema (sede della galleria) avviene, con un po’ di trepidazione, attraverso un corridoio elicoidale (forse fin troppo memore dell’intervento di Richard Serra alla Biennale 2001) sospinti da una corrente d’aria. All’uscita del tunnel ci troviamo al centro della spirale con un vortice di fumo bianco che sale verso il soffitto fino a perdersi in una cavità nera e indecifrabile che ricorda quella posta all’entrata della mostra. Un corridoio speculare a quello di entrata – ma con la corrente d’aria di direzione
Il dialogo con l’assoluto tipico dell’artista vive qui (come a Londra) una dimensione fruitiva molto legata alla fisicità dell’attraversamento e del coinvolgimento diretto dello spettatore. Il vortice risente degli spostamenti delle persone all’interno dello spazio e l’opera necessità di essere vissuta fin nella “brezza” che ti accompagna all’interno dello spazio. Non siamo più solo di fronte (spettatori) dell’universo chiuso ed estraneo – eppur così familiare – delle sue sculture, ma siamo all’interno di esso e, quest’universo, si modella sull’esperienza che noi ne facciamo. Sarà un segno dei tempi?!
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giacomo bazzani
mostra visitata il 15 luglio 2003
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