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58 Biennale/13. Quattro chicche dai Padiglioni dei Giardini, una delusione e un giro fuori

di - 10 Maggio 2019
Ricorderemo questa Biennale per due cose: le lunghe file e la penuria di bag. Questa volta si va al risparmio sugli accessori, il che magari è anche un buon modo per evitare sprechi ma un ricordino dei padiglioni fa sempre piacere conservarlo, oltre che sfoggiarlo quando si va a fare la spesa. Comunque, con o senza borsa, una vivace folla sta riempiendo gli spazi dell’Arsenale e dei Giardini e se da un lato questo afflusso rende difficoltosa la fruizione delle opere, dall’altro è confortante l’impressione che il pubblico dell’arte contemporanea possa aumentare. Ma dobbiamo aspettare i numeri ufficiali.
E dunque, cosa c’è di tanto bello e interessante da vedere? Iniziamo dai Giardini.
Si avverte un generale livellamento delle proposte, non ci sono vertiginosi picchi di eccellenza ma nemmeno pericolose cadute di stile. Artisti e curatori vanno sul sicuro e i pochi che hanno provato a rischiare ci hanno lasciato lo zampino. Per esempio, tradisce le aspettative il Padiglione russo, curato dall’Hermitage di San Pietroburgo e affidato ad Aleksandr Sokurov, dai quali era lecito aspettarsi qualcosa di più raffinato. Sokurov ha provato a stupire ma la sua rilettura dei Rembrandt del museo di San Pietroburgo non va oltre una tiepida e fin troppo oscura messa in scena, in cui la vivace ironia tipica del grande regista non riesce a emergere.
Non valorizzato dal grande numero di visitatori, il Padiglione giapponese meriterebbe una fruizione individuale e meditata, per lasciarsi trasportare dalle visioni e dai suoni degli interventi di Motoyuki Shitamichi, Taro Yasuno, Toshiaki Ishikura e Fuminori Nousaku, ben coordinati su una tematica geografica più che ambientalista, riferita alla topografia, alla fauna e alle mitologie del Giappone.
Invece, rumoroso e colorato come un quadro di Bruegel è il Padiglione del Belgio. “Mondo Cane” (nelle foto) è il titolo del progetto di Jos de Gruyter e Harald Thys, che riempiono lo spazio di marionette festanti e drammatiche insieme, quindi perfettamente grottesche, impegnate in diverse attività caratterizzanti, tipo filare la lana, affilare coltelli, tornire vasi o aspettare qualcosa o qualcuno sotto la pioggia. Si tratta di personaggi tipizzanti, provenienti dalla fantasia di diversi Paesi, dal cuoco italiano Sateri all’omicida seriale irlandese fuggito in America, passando per il fondatore e unico rappresentante del romanticismo magico astratto realista, tal De Belder Guido.
Un linguaggio fresco e seducente è quello dei gesti e degli sguardi dei personaggi di Swinguerra, progetto di Barbara Wagner e Benjamin de Burca, che propongono una installazione a due canali molto semplice nell’allestimento, puntando tutto sulla forza delle immagini e del movimento. Gruppi di giovani danzatori, esponenti di una sessualità feroce, sincera e trasversale, si sfidano in una serie di danze della Swingueira. Caratterizzati e unici, tutti i personaggi racchiudono un mondo di esperienze e il miracolo è nel riuscire a comunicarlo con immediatezza esemplare.
Quante volte avete aspettato il vostro turno? Avvolti dal blu rilassante delle comodissime sedie del Padiglione Israeliano, attendiamo con pazienza il nostro numero e prendiamo l’occasione per riposarci. Field Hospital è il progetto presentato da Aya Ben Ron, che ricostruisce perfettamente le atmosfere ovattate di una sala d’attesa, più elegante clinica privata che ospedale da campo, come farebbe pensare il titolo. In effetti tutto è giocato sulla sensazione di sicurezza, che promana da ogni elemento, dalla tappezzeria agli immancabili dépliant informativi, fino agli atteggiamenti delle receptionist che chiamano il turno del paziente-fruitore. Il passaggio successivo è su una poltroncina distensiva, per assistere a una proiezione individuale su alcuni temi cruciali di politica e società, prima di trovare un momento di sfogo, al riparo di una cabina degli urli. Originale.
Postilla: se avete terminato il vostro giro ai Giardini e all’Arsenale, non potete non fare un salto al Circolo Ufficiali Marina Militare per il Padiglione della Lituania. Sun & Sea (Marina) è il progetto presentato da Rugilė Barzdžiukaitė, Vaiva Grainytė e Lina Lapelyt, a cura di Lucia Pietroiusti. Un’opera-performance-installazione da vedere, ascoltare e immaginare, proprio come se fossimo su una spiaggia. Non spensierata.

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