E com’è il Padiglione Italia? Un ritorno al buco nell’acqua dopo la fulminea impennata del “Mondo Magico” di Cecilia Alemani, che aveva squarciato anni di buio?
Padiglione Italia, questo sconosciuto, a quanto pare.
E a quanto pare il capitolo “Italia alla Biennale” riprende la sua strada maestra, a proposito di labirinto, ovvero essere un argomento molto spinoso.
A Venezia, e parlo in prima persona, ho discusso con addetti ai lavori di ogni fazione, ognuno incline a declinare verso il basso il progetto di Milovan Farronato. Ma, come al solito, nessuno vuole metterlo nero su bianco.
Siamo un Paese di grandi maestri che non vogliono esporsi.
Si fanno foto-gallery esclusive, video e insta-stories come se non ci fosse un domani, ma poi si corre ai ripari. Ovvero si tace. E ci si imbecca l’un l’altro sul valore del vicino Ghana (in termine di posizione all’Arsenale); alla Francia che non è una novità che faccia presentazioni esemplari (in risalita quest’anno rispetto alle scorse edizioni decisamente poco felici) e che spende di più rispetto all’Italia per la sua partecipazione; alla Lituania imperdibile. Per loro mille complimenti, mentre per i nostri profeti in patria un po’ di polvere.
Qual è il problema che si imputa di più, all’Italia di Farronato? Un lavoro curatoriale eccessivo, a discapito delle opere, tramutate in “complementi d’arredo” per un negozio d’antan (la struttura del labirinto) secondo alcuni.
Secondo altri è avvenuta la trasformazione del curatore in “quarto artista” per costruire una mostra a propria immagine e somiglianza: curare una mostra invece significa mettersi a servizio degli artisti per rendere il lavoro nel modo migliore. Eppure Farronato ha pensato uno spazio precisissimo, connettivo, site specific. Inattaccabile.
Per altri invece questo è un semplice luna park con tanto di specchietti retrovisori per orientarsi, imbellettato da tende (con il cui tessuto sono state realizzate le bags per la stampa), portine e salette.
Poi c’è la questione artisti. Vox populi la scelta di Chiara Fumai è azzardata non tanto per la sua celebrazione, quanto perché – proprio a causa della prematura scomparsa – è impossibile intraprendere un vero discorso su un valore che vada oltre una questione affettiva: sarebbe stato meglio un premio dedicato alla sua memoria. O una vera e propria retrospettiva. Qualcosa del genere, che non togliesse spazio ad altri artisti italiani che invece anni di lavoro alle spalle ne hanno parecchi, ma di celebrazioni ne hanno avute di meno, e non per mancanza di curriculum.
Alzi la mano chi la pensa così.
Su queste pagine poi, al sottoscritto, lo stesso curatore aveva dichiarato che la cifra raccolta per il padiglione ammontava a circa 1 milione: 600mila euro dal Mibact, di cui 400mila dedicati alla produzione, questa cifra raddoppiata grazie agli sponsor privati che hanno supportato il progetto. Lea Vergine, in un vecchio articolo dedicato a una Documenta degli anni ’80 scrisse lapidaria (bei tempi interessanti erano quelli?!) che con “tutti quei soldi si poteva fare di meglio”. È questo ciò che si imputa al Padiglione Italia 2019? Potrebbe essere, o è una mia congettura.
O forse nella costruzione del labirinto si denota poco coraggio? Un tema forte come le incognite della vita, fatta di scelte e aspettative, e un titolo retoricamente fortissimo è stato risolto con un’estetica da vetrina, con lavori sottodimensionati rispetto al luogo sia per David che per Moro.
Forse, il nodo del problema, è qui.
C’è ancora chi spara a zero sulla necessità di avere in mano un “libretto d’istruzioni” per comprendere opere che parlano fortemente della nostra identità, mentre ad ora il padiglione, a livello critico-giornalistico, appare ancora avvolto dalla nebbia dell’omertà (italica?).
Sarà che forse sono ancora i primi giorni di Biennale. Forse molti addetti ai lavori sono intenti – e attenti – a cosa scrivere a riguardo. Ci stanno pensando. Attenti a non fare né confronti, né affronti.
Forse è per questo che l’arte italiana non esce allo scoperto. Né alle biennali, né altrove. Voi che ne dite? (Matteo Bergamini)
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Condivido pure le virgole e i punti.
Già dalla presentazione si capiva ma ovviamente il dictat solito era staremo a vedere e ora che abbiamo visto si è avuta la conferma. Un allestimento riempitivo per colmare dei grandi vuoti.