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I loro nomi sono Maria Castillo; James Cochran; Luis Gomez; Bienbenido Guerra; Richard Miller; Kai Niederhause; Carlo Nieva; Rodnet Rodriguez e Kenji Takabayashi. E sono gli ultimi a tentare di mettere con le spalle un po’ al muro, per quanto possibile, Mr. Gerald Wolkoff, imprenditore e proprietario di quello che era il 5Pointz del Queens, l’ultimo tempio dei graffiti di New York completamente distrutto per far spazio a un condominio di lusso. L’accusa che si muove? Sempre la stessa: Aver “distrutto, mutilato, modificato e deturpato ognuna delle opere d’arte installate sui muri di 5Pointz senza dare avviso in un periodo di 90 giorni precedente la distruzione del sito”, e precedentemente a quella celebre imbiancatura che ricordiamo essere avvenuta dal giorno alla notte, nel novembre 2013.
Wolkoff dal canto suo spiega che il progetto immobiliare trasformerà il quartiere da “deserto virtuale” a nuovo centro, ma è dal 1993 che il 5Pointz centro di qualcosa lo era: c’è stato per esempio, tra gli artisti, Jonathan Cohen, e una serie di nomi venuti a dipingere qui da Kazakistan, Australia, Giappone e Brasile; Donna Karan ha utilizzato i murales per servizi fotografici delle sue collezioni e ne aveva riportato le immagini in Madison Avenue e la cantante Joss Stone girò il video di una delle sue canzoni.
Insomma, sappiamo di che si trattava, ma sappiamo anche che piangere sul latte versato non serve. Eppure, forse, potrà esserci una postilla in favore degli artisti, se l’accusa reggerà: si chiama Visual Artists Rights Act (VARA) e tutelerebbe proprio l’arte maltrattata. Quale sarà l’indennizzo non si sa, ma quel che è certo è che il 5Pointz e i suoi graffiti non saranno restituiti al mondo.