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A peso d’oro. Si indaga sulla donazione del collezionista Victor Pinchuk a Donald Trump

di - 11 Aprile 2018
Per una loro apparizione, nemmeno Brad Pitt e Tom Cruise sono stati pagati così tanto ma bisogna pur dire che si tratta del Presidente, in molta carne, qualche ossa e inimitabile acconciatura. E così, una comparsata di 21 minuti in videoconferenza, durante un meeting, ha fruttato ben 150mila dollari a Donald Trump, versati direttamente alla Fondazione omonima dal magnate ucraino, filantropo e grande collezionista Victor Pinchuk.
Era il settembre del 2015, Trump era nella lista dei candidati repubblicani e nel video, adesso al vaglio degli inquirenti, assicura di conoscere personalmente Pinchuk, definito «un bravo ragazzo», e denuncia un comportamento poco corretto dell’Europa e degli Stati Uniti nei confronti dell’Ucraina. Insomma, 21 minuti molto densi ma questo cachet così generoso ha attirato le attenzioni del Consigliere speciale Robert Mueller, impegnato nell’ambito delle indagini sulla presunta influenza di poteri esteri sulle elezioni presidenziali americane. Marcus S. Owens, ex capo della Internal Revenue Service, divisione che supervisiona i movimenti delle organizzazioni e delle fondazioni, ha commentato, in una intervista al New York Times, che «si tratta di una somma insolita per un discorso così breve». Trump ha risposto prontamente, denunciando di essere solo la vittima di «una caccia alla streghe».
Cosa c’entra l’arte tutta questa storia? Pinchuk, i cui capitali secondo Forbes ammontano a circa 1.46 miliardi di dollari, è un nome molto noto tra i collezionisti di blu chip e nel mondo del contemporaneo che conta. Amico di Hans Ulrich Obrist e Julie Peyton-Jones, della sua scuderia fanno parte Jeff Koons, Takashi Murakami e Damien Hirst, mentre Olafur Eliasson ha realizzato diverse installazioni site specific per le sue importanti fabbriche di tubi di acciaio e ruote per treni, oltre a un sole artificiale gentilmente offerto alla città di Dnipropetrovsk. Pinchuk si è dimostrato particolarmente attento anche al supporto dei giovani artisti, con il Future Generation Art Prize, un concorso biennale di alto profilo, istituito nel 2010, con in palio 100mila dollari. L’ultima edizione è stata vinta dalla sudafricana Dineo Seshee Bopape e insieme agli altri finalisti ha esposto in occasione dell’ultima Biennale di Venezia. Proprio nella città lagunare, il magnate è di casa, visto che la sua Fondazione, insieme al Pinchuk Art Centre di Kiev, sostiene il padiglione Ucraino. Un filantropo di rara specie, considerando anche il sostegno alla Elton John Aids Foundation, la sponsorizzazione di un concerto pubblico di Paul McCartney a Kiev e di un film di Steven Spielberg sull’olocausto in Ucraina.
Eppure, negli Stati Uniti, non sono così convinti del suo cuor d’oro e già nel 2013 i produttori di acciaio americani intentarono causa contro il suo gruppo industriale, paventando un’ingerenza illecita nel mercato nazionale del gas naturale.

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