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È scomparso questa mattina, a 78 anni, al termine di una lunga malattia, Hidetoshi Nagasawa, scultore e architetto, poeta della materia ed esploratore solitario. Il recinto, il giardino, la barca, la bicicletta erano i suoi simboli, l’oro, il legno, la carta, la terra i suoi strumenti, una sottile compenetrazione tra pieno e vuoto i suoi ritmi. Stabilitosi a Milano dalla fine degli anni ’60, ricopriva il ruolo di docente di scultura alla Nuova Accademia di Belle Arti e, tra le numerose mostre, si ricordano le partecipazioni alla Biennale di Venezia e alla IX edizione di Documenta, a Kassel, oltre che una personale alla Fondazione Mirò. Nel 1988, il PAC di Milano gli dedicò un’ampia retrospettiva, mentre nel 2014, al Camusac di Cassino, furono esposte alcune delle sue più recenti installazioni, per “Caos Vacilla”, personale a cura di Bruno Corà.
Nagasawa nacque nel 1940, a Tonei, un piccolo villaggio della Manciuria e, durante la Seconda Guerra Mondiale, la sua famiglia fuggì in Giappone. A Tokyo studiò progettazione d’interni ma i contatti con il Gruppo Gutai e con le Avanguardie lo spinsero a cambiare orizzonte. Nel 1966, con 500 dollari e una bicicletta, intraprese il viaggio della sua vita e, dopo aver attraversato Thailandia, Singapore, India, Pakistan, Iraq, Afghanistan, Siria, Turchia e Grecia, arrivò in Italia. Da Brindisi, risalì la penisola, toccando Napoli, Roma, Firenze, Genova e Milano, dove gli rubarono la bicicletta, come spesso amava raccontare. E fu in seguito a questo episodio che, nell’agosto nel 1967, decise di fermarsi proprio nella città meneghina. Qui conobbe Enrico Castellani, Mario Nigro e Antonio Trotta, con i quali sviluppò una salda intesa artistica e intellettuale.
Nella sua poetica, la cultura orientale e quella occidentale arrivano a una sintesi equilibrata, espressa in opere spesso imponenti ma sempre raffinate, come delicate rappresentazioni delle leggi della statica e della dinamica. In Italia, si ricordano le sue installazioni permanenti sul tema del giardino zen, come quelli progettati per la Fattoria di Celle, per il Museo di arte contemporanea Su logu de s’iscultura, a Tortolì, e per il Palazzo Pretorio di Certaldo.