Robert Indiana è morto sabato, 19 maggio, a 89 anni, per arresto respiratorio, nella sua casa sull’isola di Vinalhaven, nel Maine, Stati Uniti. A darne ufficialmente notizia, lunedì, 21 maggio, l’avvocato che ne curava gli interessi. Considerato tra i più importanti e iconici artisti pop, Indiana ne ha sempre rifiutato l’etichetta e già dalla fine degli anni ’70 si era allontanato dal mondo dell’arte newyorchese, per stabilirsi a Vinalhaven, in un edificio in stile vittoriano che aveva trasformato in studio.
Nato il 13 settembre 1928, a New Castle nell’Indiana, da bambino si trasferì spesso – “mia madre non poteva vivere nella stessa casa per più di un anno”, disse in un’intervista – e prestissimo si fece notare per la sua bravura nel disegno. I genitori divorziarono e la famiglia subì in pieno la crisi di quegli anni, mentre Robert ebbe una formazione composita, studiando presso l’Art Institute di Chicago, la Skowhegan School of Sculpture and Painting nel Maine e l’Edinburgh College of Art in Scozia. Passò anche tre anni nell’Air Force e praticò molto la fotografia.
Nel 1954 si trasferì a New York, a Manhattan, dove iniziò a frequentare attivamente la comunità artistica, strinse amicizia con Jack Youngerman, Agnes Martin e Cy Twombly, ebbe una relazione con Ellsworth Kelly e iniziò a sperimentare i primi assemblaggi di grandi dimensioni, trovando, in vecchi magazzini abbandonati, i materiali per le sue opere, come vecchie travi di legno, ruote di metallo e altri residui delle attività marittime. Nel 1964 comparve in Eat, il film sperimentale di Andy Warhol, in cui Indiana mangia un fungo durante un’unica ripresa da 45 minuti.
La parola LOVE, un tema centrale per l’opera di Indiana, è apparsa per la prima volta in Four Star Love, quadro del 1961, ma fu nel 1964 che raggiunse una certa notorietà, quando la scritta che sarebbe diventata la sua opera più famosa, venne usata per una cartolina natalizia per il Museum of Modern art. Da quel momento, LOVE, con la caratteristica O inclinata, è comparsa praticamente su ogni oggetto, da t-shirt a gioielli, da skateboard a copertine di album, al punto che lo stesso Indiana la definì come “l’opera d’arte più plagiata al mondo”.
Nel 2008, realizzò un’opera per la campagna presidenziale di Barack Obama, usando la parola Hope e autorizzandone la riproduzione su magliette, bottoni e stampe in edizione limitata.
Proprio pochi giorni prima della scomparsa, la società che gestisce i diritti delle sue opere più importanti ha citato in giudizio un editore newyorchese, accusandolo di falsificazione dei lavori.