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Scriveva da quasi trent’anni su La Nation, e i suoi saggi erano anche stati tradotti in italiano, a partire dalla Laurea Honoris Causa che gli aveva conferito l’Università di Torino nel 2007, nella facoltà di Filosofia. La trasfigurazione del banale e La destituzione filosofica dell’arte erano stati editi nel 2008; Andy Warhol e Oltre il Brillo Box erano altri due saggi che avevano sdoganato maggiormente il grande filosofo statunitense Arthur Danto anche nel nostro Paese.
Si era laureato nel 1952, alla Columbia University, e il suo saggio più famoso era arrivato nel 1984, intitolato The end of art, dove teorizzava che «Per poter parlare di arte, non c’è l’obbligo che esista un oggetto da guardare; se compaiono oggetti in uno spazio espositivo, possono avere qualunque forma». La separazione dell’arte dalla società e dalla sua “funzione” organica e narrativa, secondo Danto finiva negli anni ’60, con l’avvento della Pop, quella corrente che lo aveva continuato a impegnare per tutta la vita, e della quale aveva visto gli albori “in diretta”. Catapultandoci in quell’epoca “post-storica” di cui proprio le scatole di “Brillo” di Andy Warhol erano l’emblema, secondo il filosofo, della scomparsa dell’arte nella sua autentica promozione come prodotto commerciale.
mai come oggi l’arte non è destituita filosoficamente,anzi si è ri-fondata tecno-ontologicamente…..forse l’arte non è mai veramente iniziata,è iniziato solo un progressivo-temporale svelamento ontologico,il quale proseguirà ancora nel con-tempora-neo futuro.