Classe 1923, bellunese, era partito alla volta di Milano nel 1953 Mario De Biasi, uno dei più grandi fotografi che l’Italia abbia mai avuto, e protagonista della nascita della Fondazione Forma del capoluogo meneghino, nata nel 2007. Aveva fotografato per le pagine di “Epoca” l’Italia che rinasceva, dopo la fine del secondo conflitto, dove era stato anche deportato nel 1944, iniziando a scattare tra le rovine di Norimberga, dopo la liberazione. Poi vennero la Rivolta ungherese e la “primavera di Praga”, decine e decine di baci, le donne più belle del cinema del Belpaese e non, tra cui Sophia Loren, Marlene Dietrich, Brigitte Bardot e, insieme, un profondo amore per le immagini che regalava Milano, la sua vera città, che nel 2006 gli conferì anche l’Ambrogino d’Oro su nomina di Sgarbi. Di lui Bruno Munari diceva: «Ha fotografato rivoluzioni, uomini famosi, Paesi sconosciuti. Ha fotografato vulcani in eruzione e distese bianche di neve al Polo a sessantacinque gradi sottozero. La macchina fotografica fa parte ormai della sua anatomia, come il naso e gli occhi». E quando non fotografava, De Biasi, disegnava. E proprio in questi giorni, fino al prossimo 27 luglio, alla Galleria 70 di Milano sarà visibile una sua mostra, proprio di pittura e disegni. Una nuova “versione” del suo sguardo, dopo le partecipazioni nel 1975, 1976, 1977 come membro della giuria internazionale del World Press Photo e la partecipazione alla mostra “The Italian Metamorphosis 1943-1968” al Guggenheim Museum di New York, nonché del titolo di Maestro della Fotografia Italiana, massima onorificenza della Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, conferitogli nel 2003.