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Come descrivere il Rag. Ugo Fantozzi? Se fossimo dentro un film qualcuno, fuoricampo, esclamerebbe: “Una merdaccia”. Probabilmente lo pensò anche una certa critica cinematografica, nel corso degli anni del successo di Paolo Villaggio, scomparso oggi a 84 anni: quei filmetti non meritavano troppo attenzione.
Troppo “tragicomici” forse, per certi versi patetici. Il poveraccio cercava di mettersi a dieta, ma poi finiva in una clinica “lager” dove non solo si stringeva la cintura ma ci si svenava anche di contanti, usati a tarda notte per il mercato nero del cibo operato dagli stessi infermieri.
Oppure andava in vacanza in camper, capitanato dalla mitica Signorina Silvani e dal collega Rag. Filini: peccato che l’autocaravan risultasse essere un carro funebre, recuperato alla bell’è meglio così come ogni altro mezzo usato dagli impiegati dell’Ufficio Sinistri. Fantozzi era così: specchio d’Italia, specchio della parte più ignobilmente beffarda della vita. Direte “Si fa presto a descriverlo così”. Può essere, ma dalla sua il Ragionier Ugo aveva avuto la resilienza: la capacità di mettersi “Contro tutti”, di “subire ancora”, e poi di andare anche in paradiso e tornare.
Merito di Villaggio e della sua penna che Fantozzi lo scrisse, passando prima per il cabaret e la televisione e recitando in Brancaleone alle Crociate di Mario Monicelli, con Vittorio Gassman, con Fellini ne La voce della Luna – che gli valse il David di Donatello – nel 1989, con Ermanno Olmi e, balzando di nuovo indietro nel tempo, con Marco Ferreri.
Quel che è certo, oggi, è che Paolo Villaggio verrà ricordato in massima parte per il corpo, le smorfie e le avventure del suo Ragionier Ugo, aumentando le visualizzazioni su Youtube e, forse, riportando in televisione le sue pellicole. Tanto il palinsesto estivo è debole, si può cavarne fuori qualcosa: anche il cinismo, in fondo, era parte integrante del suo personaggio.
Dal quale, congiuntamente, venne fuori anche Fracchia, scambiato per la “Belva Umana” o in lotta con un vampiro, il “Signor Pretore” di Rimini Rimini, film che anticipò le commedie in Vanzina Style su Natali e vacanze, ammaliato da una Serena Grandi che di immenso aveva solo le taglie, o come il mitico professore genovese piombato a Napoli in Io speriamo che me la cavo, di Lina Wertmüller, tratto dal romanzo di Marcello D’Orta: anche in questo caso lo spaccato di un Paese.
Come disse il megadirettore naturale nella cerimonia di pensionamento del Rag. Ugo e dei suoi coscritti: “Caro Bambocci, non la dimenticheremo mai”.