40 artiste in mostra alla Fabbrica del Vapore e una serie di incontri culturali e a sfondo politico, per raccontare una nuova storia dell’arte. Ma “Vetrine di Libertà – La Libreria delle donne di Milano, ieri, oggi”, in esposizione alla Fabbrica del Vapore fino al 6 giugno, parla anche di uno spazio di incontro, riflessione e immaginazione, ora in via Pietro Calvi e prima in via della Dogana, che con il tempo è diventato un punto di riferimento, aperto al contemporaneo. E infatti, lunedì, 15 aprile, si discuterà di un movimento epocale, quello del Me Too, con Lia Cigarini, Marisa Guarneri e Luisa Muraro, insieme alle artiste Elisabetta Di Maggio, Loredana Longo, Stefania Galegati, Marina Ballo Charmet. Ci dice di più Francesca Pasini, curatrice della mostra, insieme a Chitra Piloni, e animatrice della Libreria.
Verrebbe da dire che “l’arte delle donne” stia vivendo un periodo di riscatto non indifferente. Che cosa rappresenta, secondo te? Un fenomeno passeggero? Una moda? La giusta ricompensa al fatto che – nonostante si parli tanto di quote rosa, di uguaglianza e di stesse possibilità – le donne (prendiamo per esempio il mercato dell’arte, nella fattispecie delle aste) stanno ancora al di sotto dei colleghi uomini?
«Nel riscatto c’è l’idea di superiorità, invece la presenza tumultuosa delle artiste dall’inizio degli anni 90 del secolo scorso, ha invertito la rotta. Il genere neutro maschile “gli uomini, i mortali”, come dalla filosofia presocratica è stata definita la specie, non funziona più o almeno scricchiola. Artista non è un aggettivo e finalmente possiamo dire che l’arte è fatta da uomini o donne. Ci tengo a sottolineare “o”, perché è una dizione semplice per nominare la differenza tra i due. Certo il termine “umano” è nel linguaggio, per cui io sono “critico” d’arte, “curatore”, nonostante Luce Irigaray, dal 1981, in “Etica della differenza sessuale”, suggerisca di declinare sempre maschile e femminile. Nell’arte visiva le donne sono apparse più tardi. Forse era più difficile impedire a una donna di scrivere: Jane Austen, alzando un lembo della tovaglia del tavolo da pranzo, ha scritto romanzi straordinari e innovativi, e Virginia Woolf con “una stanza tutta per sé” ha dichiarato l’urgenza di uno spazio di proprietà delle donne. Nell’arte visiva le donne sono state eccezioni eccellenti, anche se spesso lasciate a margine. Oggi non sono un fenomeno passeggero perché indicano qualcosa che va oltre le discipline: l’arte visiva fin dalla preistoria è una figura simbolica delle civiltà. Dire donne artiste e uomini artisti è un cambio di civiltà? Credo di sì. Se non si rincorre più l’Uno nella specie, nella religione, nell’arte, e miglioriamo la società femminile anche gli uomini possono vedersi inclusi in un universo di due e ci sarà meno bisogno di riscatto reciproco. Sapere che c’è dell’altro rispetto all’Uno è una cosa preziosa per donne e uomini. In questo senso le quote rosa non intaccano la sopraffazione maschile quando c’è, qualche piccola compensazione le offrono ma, come dici tu, se entra in campo il denaro, la parità va farsi benedire, e per assurdo proprio perché le artiste non sono più eccezioni si sentono la coscienza a posto. Spesso mi sento dire, che senso ha fare delle mostre di donne, ora ci sono e non c’è più problema. Se fanno un prezzo più basso alle aste, non c’entra».
Scrivi: “Ieri e oggi la politica, l’arte, la filosofia, la letteratura continuano a essere al centro dell’attività della Libreria delle Donne”. Come viene percepita, secondo te, questa istituzione dalle nuove generazioni (non solo di donne)?
«La grande presenza di donne artiste ha promosso il desiderio di studiare le opere e la partecipazione al femminismo di molte protagoniste degli anni ’60-’70. E’ iniziato circa dieci anni fa ed ora è quasi una ricetta. Sono però molto contenta di questo e tento di capire se e come il recupero del femminismo nell’arte influisce nell’interpretazione di oggi. Quello che vedo alla Libreria delle donne è un progressivo aumento d’interesse delle generazioni più giovani. Chiedono i libri di Carla Lonzi, i cataloghi delle artiste degli anni ’70. Studiano. Fanno tesi. Durante il progetto “Quarta Vetrina” mi ha colpito la ricchezza e la libertà di lettura dell’opera che era esposta. L’opening consiste, infatti, in un dialogo tra me l’artista e il pubblico, di varie età e provenienze, che si arricchisce di volta in volta, tutti e tutte fanno domande, raccontano le loro impressioni, una specie’ “opera d’arte orale, collettiva”, molto speciale. Io mi auguro sempre che in un’opera ci siano non solo tante interpretazioni, ma anche tante intuizioni legate all’esperienza di chi la guarda. E in quegli incontri ho spesso avuto conferma della mia idea che l’opera è un “soggetto vivente” che si modifica attraverso i pensieri di chi la osserva. La Libreria delle donne di Milano, è un luogo molto allenato al dialogo, dove, oggi che nessuno più interviene nelle conferenze, si può sperimentare una lettura dell’arte insieme all’artista e ai tanti e tante alle quali è indirizzata. Ogni artista, donna o uomo, credo si auguri che le sue figure siano viste da quante più persone possibili».
Lunedì 15 si parlerà di Me too con alcune protagoniste fondamentali per la storia delle libreria, Lia Cigarini e Luisa Muraro. Qual è stata questa “svolta epocale” che si legge nel titolo dell’incontro? Il fatto di aver trovato il coraggio di denunciare?
«Certamente il coraggio di denunciare, ma soprattutto le donne hanno acquisito autorità, sono state credute, la loro narrazione ha vinto su quella maschile. Come scrive Lia Cigarini nel “Sottosopra” (settembre 2018): “Me Too è stato una valanga che si è andata ingrossando fino ad arrivare a colpire personaggi e schemi della politica classica maschile. Faccio l’esempio del candidato repubblicano al governo dello Stato dell’Alabama, sconfitto dal voto delle donne. Dopo, o meglio, attraverso cinquant’anni di lavoro politico del movimento delle donne, sia pratico che teorico, il movimento Me Too è arrivato a rompere il contratto tra uomini per regolare il loro accesso sessuale alle donne. Infatti, in conseguenza delle denunce, molti uomini hanno cominciato a non volere più la sottile complicità con i propri simili e non li hanno più scusati.” Una svolta epocale, registrata anche dal sistema mediatico, che pur essendo ancora dominato dagli uomini, questa volta non li ha scusati e ha creduto alle donne. Mi viene in mente in mente il muro di Berlino, un crollo inaspettato, per quale però hanno lottato per 28 anni uomini e donne, anche solo sopportandolo».
Come proseguirà la “Quarta Vetrina” (utilizzata sempre singolarmente da un’artista) dopo questa grande esperienza collettiva alla Fabbrica del Vapore?
«Non voglio rinunciare al dialogo con tutti e tutte quelle che partecipano, anzi vorrei incrementarlo: ad esempio potremmo porre noi delle domande al pubblico – l’artista ed io – scambiarci le parti, far tesoro delle discussioni e della costante presenza di una delle più importanti filosofe italiane, Luisa Muraro. E perché no? qualche volta uscire dalla vetrina e mettere un segno sulle pareti di questa “stanza tutta per noi”, alla quale sono invitati anche gli uomini. Aspetto di vedere cosa succede durante la mostra che tiene insieme immagini, parole, libri e letture. Il programma degli incontri è pubblicato nel bellissimo catalogo (Nottetempo) proprio per evidenziare che sono parte integrante della mostra, e non conferenze a lato. Abbiamo video registrato tutti gli incontri durante gli opening, e con Egle Prati, Cristina Rossi, Chiara Mori, Alessandra Quaglia stiamo studiando un archivio consultabile, per ora in mostra c’è un monitor con l’editing di una prima parte. Chissà se, tra ventanni, a qualche giovane studiosa o studioso verrà voglia di approfondire, come succede oggi con le pubblicazioni storiche della Libreria delle donne di Milano. Intanto sto studiando con Paola Di Bello un reportage della mostra con le sue allieve e allievi di Brera e, se andrà a buon fine, magari lo mettiamo in Quarta Vetrina».