Tra i mobili e gli scaffali impolverati, c’è un divano capitonnè in stile Luigi XVI, un raffinato lacerto di affresco medievale, dal ‘700 arrivano rare suppellettili neoclassiche, tele da attribuire, incisioni, e mobilia varia. Insomma, è in arrivo un museo ancora tutto da scrivere. E anche se abbiamo già il placet di Vittorio Sgarbi, tutti, addetti ai lavori e non, sono chiamati a intervenire per azzardare nuove attribuzioni. Si, perché la casa- museo aponense di Villa Bassi Rathgeb racchiude diversi pezzi ancora d’incerta paternità o anonimi.
Quali sono quindi le misteriose opere che cela tra le sue stanze? Centinaia e alcune sarebbero da individuare magari anche prima dell’apertura ufficiale dell’8 dicembre. In quella data, infatti, al secondo piano dello storico edificio, tra i tantissimi quadri ne saranno esposti in 40, tutti provenienti da un patrimonio totale di oltre 420 pezzi, composto da armature, disegni, incisioni, reperti archeologici e pezzi d’antiquariato, collezionati e donati alla città dalla vedova del ricco bergamasco Roberto Bassi Rathgeb.
Molte sono le stanze già riutilizzate e, tra le altre, le più suggestive sono quelle ipogee che ogni sei mesi ospiteranno esposizioni di arte internazionale e fotografia. Ma intanto, con il nostro breve spoiler, in anticipo su tutti, prima che gli esperti facciano luce sui quadri, prima che scoperte e mostre facciano notizia e ancora prima del taglio del nastro, ve ne raccontiamo la storia, perché è così affascinante aggirarsi, quasi come fantasmi, tra sale chiuse da 40 anni, non calpestate da tempo da anima viva.
La storia della Villa inizia molto tempo fa, al tramonto del Rinascimento, quando Giovanni Antonio Secco si trasferisce qui da Venezia (era originario di Crema però), per sfuggire dalla calura estiva. Secondo l’uso del tempo, la residenza o, meglio, il casino di piacere, veniva utilizzato anche come azienda agricola. E possiamo immaginare bene come tra vendemmie, lavori agricoli e cenacoli letterari, la proprietà venisse affrescata con quelle tonalità tipiche degli artisti di ambito veronesiano, più precisamente, si saprà dopo, di scuola zelottiana. Questo succedeva tra il 1566 e il 1576, prima cioè che lo sfarzo e l’opulenza barocca prendessero il sopravvento, le decorazioni infatti restano perlopiù di gusto lineare e stile classicheggiante. Gli interni del palazzo invece non hanno mai smesso di trasformarsi nel tempo, ci sono infatti ancora indizi dei numerosi rifacimenti e la cosiddetta “picchiettatura” sui muri. Un metodo, questo, che pur coprendo gli affreschi li ha fortunosamente protetti e che, per altro, ha permesso di individuare il punto esatto dove erano “aggrappati” cioè posizionati, gli stucchi. Questi ultimi non più visibili perché rimossi intorno al 1979 quando, segnando un nuovo corso per la Villa, finalmente diventa proprietà del Comune.
Con questo passaggio di consegne e dopo un lungo cantiere di restauro nonché grazie a lavori straordinari oggi la riapre al pubblico. Per il lasso di tempo intercorso tra la donazione, la riconversione degli ambienti, questa riapertura ha il sapore di un miracolo di rivalorizzazione, un caso straordinario di recupero di un patrimonio artistico che altrimenti sarebbe andato disperso. La collezione poteva rischiare di essere smembrata dallo sciacallaggio dei collezionisti o di venire saccheggiata da predatori di arte perduta o, perlomeno, se ne sarebbe persa la memoria. E invece assistiamo a un evento per molti versi storico che vedrà finalmente il fior fiore della collezione rianimarsi, la Villa riaccendere le luci. Ma non solo.
La riapertura della nobile dimora convertita in museo farà da punto d’appoggio per favorire turismo e scambio culturale, situata com’è in una realtà come quella termale già ampiamente connotata anche per le sue bellezze paesaggistiche. Non rimane quindi che attendere il giorno dell’Immacolata per vedere dopo decenni illuminata di nuovo una dimora nobile cosi affascinante, immersa in un’atmosfera che ricorda un po’ L’Impero delle Luci di René Magritte. (Anna de Fazio Siciliano)