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Bruguera al Madre, cronaca di una (non) performance e di voci trascendenti…

di - 7 Giugno 2010

Eventi a dir poco surreali, se non kafkiani, quelli che si stanno condensando intorno a quella che sarebbe dovuta essere la performance di Tania Bruguera (L’Avana, 1968) al Museo Madre, a Napoli. Sarebbe, perché in realtà l’azione (almeno nella versione ufficiale) non c’è più stata, al seguito di avvenimenti ancora non ben definiti. Ma da più voci sorge il dubbio che, in realtà, proprio nella nuova piega degli eventi si sia svolta questa fantomatica performance.
Urge andare con ordine e ricapitolare tutto dall’inizio. Secondo i comunicati diffusi à grand battage nei giorni passati, e come anche riportato da Exibart, lunedì sera al Museo Madre si sarebbe appunto dovuta tenere – ad apertura della seconda edizione del ciclo Corpus. Arte in azione, in partnership con Napoli Teatro Festival Italia – una performance dell’artista cubana. Ma proprio lunedì mattina viene diffuso dall’ufficio stampa del Madre un avviso che titola: “Tania Bruguera si rifiuta di esibirsi al Madre ed indice una conferenza stampa“, riferendo che l’artista “annuncia l’impossibilità ad andare avanti nel suo progetto artistico a causa del grande ostracismo dimostrato nei suoi confronti durante il suo soggiorno in città unitamente ad una irriducibile divergenza di opinioni con il direttore del Madre. La direzione del museo si dissocia dall’atteggiamento della Bruguera ed invita pubblico e stampa a prendere parte all’incontro con l’artista in cui verranno rivelate pubblicamente le reali motivazioni di una situazione così imbarazzante. Il museo Madre con i curatori della rassegna Corpus. Arte in Azione, Adriana Rispoli ed Eugenio Viola, si scusano per il repentino cambio di programma“.
Naturalmente, come appiccare fuoco a una tanica di benzina: pubblico, ma soprattutto addetti ai lavori, accorsi tutti in paranza e al gran completo per non farsi sfuggire un così ghiotto – e all’apparenza decisamente polemico, quindi ancor più appetitoso! – coup de théâtre. Aspettative nuovamente disattese e altro cambio di programma. Ad apertura della conferenza, una dichiarazione dell’ultim’ora del direttore del Madre Eduardo Cicelyn – assente alla conferenza stampa e presente solo con le sue parole, lette da un’addetta stampa – sembra, seppur manifestando una non condivisione, attutire la presa di distanza professata nel comunicato della mattina, in nome della libertà di espressione: “Credo che un’istituzione dedicata alla promozione dell’arte contemporanea come ogni altro museo debba essere attendibile nei confronti del proprio pubblico […]. Mi sembrava che l’artista avesse disatteso il suo impegno nei confronti nostri e del Napoli Teatro Festival Italia, e che stesse creando a nostre spese un effetto ‘scandalo’ del tutto indesiderato e certamente non previsto. Sono abbastanza convinto che la strumentalizzazione mediatica dell’arte sia alla fin fine dannosa proprio per l’arte, ma non posso non comprendere che l’artificiale creazione dell’attesa di qualcosa che accadrà determini un interesse, forse morboso, ma certamente eccitante per l’evento artistico che tale aspettativa promuove. E poi, nei giorni in cui molti sono mobilitati in Italia per la difesa della libertà di pubblicare qualsiasi cosa sia reputata interessante, sembrava piuttosto sconveniente impedire a un’artista di esprimere liberamente il proprio pensiero in pubblico. Ecco perché la mia personale assenza non deve essere intesa come una protesta o una presa di distanza da Tania Bruguera“.
Ma lo stupore diviene incredulità da strabuzzare gli occhi, e per alcuni netta irritazione, nel momento in cui Tania Bruguera prende la parola: l’artista racconta di aver vissuto giovedì scorso, mentre ancora era in Spagna a Pontevedra, un evento (mistico?) inspiegabile e molto inquietante. Di notte avrebbe udito delle voci sconnesse, che le avrebbero indicato come gli ultimi eventi catastrofici (il disastro British Petroleum, il tifone Agatha, l’eruzione del vulcano Eyjafjallajokull) altro non sarebbero che un segno di Dio per un mondo in cui tutto ruota intorno al denaro. Le “voci” le avrebbero reso chiaro come chi si limita a soddisfare desideri materiali, senza dar conto della sofferenza delle persone, tratta con ignoranza le persone e le nazioni, ammonendola poi che la nuova epifania delle bellezza risiede nell’etica dell’essere umano, invitandola ad elevare l’anima a Dio e ripetendole totus tuus, le parole di preghiera care a Giovanni Paolo II. Tanto sarebbe stato il turbamento conseguente a questa traumatica esperienza che l’artista avrebbe sentito di non poter più esibirsi nella performance in programma, richiedendone l’annullamento.
Non poco, per una che contestualmente dichiara di non aver mai creduto in Dio e di non “sapere ancora dove questo evento porterà“. Crisi mistica? Tania Bruguera nuova veggente? Stress ante-prestazione? Furba trovata? Bufera in sala: alle accuse di aver ricercato il gesto sensazionalista a scopo autopromozionale, l’artista replica serena: “non ho bisogno di questo come autopromozione, e del resto con questa decisione, in un contesto importante come il Museo Madre, vado contro i miei stessi interessi, sapendo che ciò può non aiutare per niente la mia carriera. Non sono contenta di questa situazione, perché so che mi creerà non pochi problemi“. E, a chi le chiede se dunque non percepirà il compenso previsto per la performance, risponde candidamente: “non abbiamo ancora affrontato questo argomento, e sinceramente non mi importa, il denaro non è certamente al centro di tutto questo“.
E l’ostilità denunciata negli avvisi? E le irriducibili divergenze con la direzione? Tutto un banalissimo equivoco, a detta anche di Eugenio Viola e Adriana Rispoli: solo incredibili errori di comunicazione tra artista e curatori, frutto di contatti troppo veloci e confusi in ore troppo tarde. “Ci tengo a chiarirlo: amo Napoli, non ho niente contro la città, non ho mai parlato di ostracismo, si è trattato di un fraintendimento“, ci dichiara poi in privato la Bruguera. Non pochi gli interventi scettici che insinuano come l’azione apparentemente annullata possa in realtà identificarsi con la conferenza stampa stessa, ma l’artista nega fermamente: “Per piacere, credetemi, non si tratta di una performance. Sicuramente sto approfittando di voi che siete intervenuti, ma spero che il messaggio si diffonda“. “Novella” non ben digeribile, però, per alcuni visitatori entrati dietro regolare biglietto, e poi lamentatisi con la biglietteria per aver pagato per qualcosa che di fatto è un “non-evento”. O no? Potenza del post-moderno, in cui basta un anti-pointing d’artista, attestazione e giuramento che non di opera si tratta, per far sorgere in tutti il dubbio che proprio arte sia. (diana gianquitto)

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[exibart]

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  • Questa è la degna conclusione di quella che si vuole continuare a chiamare arte.Buffonate di gente pagata con soldi pubblici,vergognose argomentazioni sul nulla,chiacchere a vanvera per pochi addetti ignoranti e anche cretini,che la termine della performance(?)si chiedono se era un'opera oppure un comunicato stampa.Volete il carrozzone mediatico,e allora eccovelo servito. Non scomodate pero' la parola,per voi dal significato oscuro,di arte.Cert che di fronte a queste penose scene,non ci si puo' poi certo lamentare,in questo momento particolare,dei tagli all'arte e certa cosiddetta cultura.Sarebbero proprio da togliere in toto questi finanziamenti a certe istutuzioni autoreferenziali e dedicarli piuttosto ad altre piu' serie.

  • Giustissimo, vergognatevi mi sembra il giusto termine, forse anche andatevene ci sta bene.

  • Ma come cavolo si è vestita questa Bruguera?
    Dai suoi occhi è palese la sua grande estraneità all'arte e la sua profonda ignoranza.
    Continuiamo tutti in coro a farci prendere per i fondelli?

  • È la seconda volta nella mia vita che mi trovo a rispondere in un blog, attitudine mediatica aperta all’approssimazione e allo sciacallaggio volgare, ma essendo chiamato direttamente in causa si impone, e mi scuso per farlo non con la dovuta tempestività.

    L’azione di Tania Bruguera, da noi invitata, e della quale quindi noi siamo in qualche modo i responsabili, è particolarmente rivelatrice del “gioco” dell’arte contemporanea, non devo spiegare agli addetti ai lavori che questo tipo di operazioni riattualizza quello che l’arte mette in atto dall’inizio del secolo scorso. Anche in questo caso si è trattato, né più né meno, di una operazione che consiste nel trasgredire una frontiera e trasgredendola, di metterla contestualmente in mostra, di renderla evidente. Comprensibile (?) che questo movimento di trasgressione tenda a invertire i criteri del valore artistico… Ma quest’arte di oltrepassare le frontiere, di “mettere a nudo il re”, o di fare il vuoto, non sarebbe completa senza una descrizione del gioco ermeneutico ad esso sotteso, che condiziona l’interpretazione e la percezione del lavoro di un’artista da parte sia degli spettatori che dei critici.

    Ammetto che la situazione non è meno paradossale per gi spettatori di quanto non lo sia per gli artisti. Nel vuoto sempre più vertiginoso, creato dalla riduzione sempre più accentuata dello scarto tra artisti e gente comune, si inserisce la necessità di un riempimento, di un allargamento delle frontiere, al fine di includere proprio quello che fino ad oggi si è escluso dalla regola.
    Come reintrodurre un po’ di senso laddove i confini sono stati coscientemente annullati? Come rifondare la credenza nel valore dell’arte laddove sono stati spazzati via i criteri di valore? Come fare a riconoscere ciò che è sfida al riconoscimento? Come far andare bene ciò che gioca con il rischio dello scacco? Come giustificare, razionalizzare, interpretare ciò che viene a turbare le nozioni di gusto, di razionale, di significante? Come colmare il vuoto? L’inflazione linguistica dell’arte contemporanea, e i blog ne rappresentano l’espressione degenerata, testimonia da sola della deflazione assiologica delle opere che ne costituiscono l’intenzione. Ma mettiamo momentaneamente da parte i cosiddetti addetti ai lavori e cominciamo dalla gente comune, per la quale le opere d’arte contemporanea continuano a fare scandalo – felicemente per gli artisti, che altrimenti perderebbero ogni potere trasgressivo. Le reazioni del senso comune sono per così dire “normali” nella misura in cui loro percepiscono negativamente la negazione dei criteri artistici. Queste reazioni tuttavia non hanno particolare presa su oggetti, opere e azioni dell’artista, tanto oggi è grande la distanza tra “profani” e “specialisti” (o supposti tali) e tanto questi ultimi beneficiano di una loro legittimità nel mondo colto. Occupiamoci allora del loro modo di gestire mediante i discorsi, il valore assiologico, la nudità del re: proviamo ad osservare il lavoro interpretativo, l’ermeneutica sottesa al presente dell’arte. Una volta presi nel gioco, ovvero una volta persuasi che in questo gioco ci sono dei valori (artistici) da difendere, perfino degli errori morali da non ripetere, se si preferisce, il mondo colto si adopera per reintegrare le trasgressioni nel campo del guardabile, del commentabile, perfino dell’ammirevole, in ogni caso dell’interpretabile. Ma non cadrò in questo errore: è con il commento e la ricerca di senso che si fa l’esatto opposto di ciò che l’artista ha appena fatto. Ad ogni movimento dell’artista corrisponde un movimento del critico, a ogni esposizione un’interpretazione, a ogni trasgressione una re-integrazione. In questa strategia regolata di esplorazione dei limiti che mette alla prova e fa arretrare le linee di demarcazione dell’accettabilità artistica, il minore di questi “colpi” avanguardisti è una sfida alla critica, operatore di legittimità che a sua volta deve accettare la sfida. Non si può capire il gioco dell’arte contemporanea senza prendere in considerazione al tempo stesso la produzione delle opere da parte degli artisti e la loro ricezione da parte dei critici, la sfida al buon senso e la creazione di senso, la distruzione delle regole e la loro ricostruzione, la mano trasgressiva degli uni e la mano integratrice degli altri. Questo gioco provoca delle reazioni a catena. Come descrivere il gioco, signori, senza entrare nel gioco di una strategia estetica che si nutre dell’insieme di connessioni - azioni reti, situazioni, contro-reazioni ed effetti di senso – stabiliti intorno a un soggetto che diventano processo e produttori di significato oltre la attualità dell’opera o dell’evento? Travolto nelle spire dell’amplificazione mediatica, il senso dell’azione di Bruguera è stato frainteso, artatamente snaturato, degradato a kermesse impudica di dubbio gusto. Sulla contrapposizione tra difensori e accusatori, sinceri o interessati, si è innescato l’uso politico strumentale e obliquo. Che dire, buon divertimento, e passatevi pure vanghe e vomeri.

    Eugenio Viola

  • Caro Eugenio Viola, in questa storia non ho ancora capito quale sia il problema. Anche se capisco essere antipatico essere barbaramente offesi.

    Dovresti capire però che se il sistema reale non crea opportunità di reale confronto, è normale che questo confronto venga cercato nei blog e nei commenti. Perchè non si può parlare di "gente comune" solo quando fa comodo...i commenti esprimono un sentire reale, a volte volgare, a volte critico e a volte condivisibile...esattamente come la realtà. Lasciamo perdere le bacchettate moraliste sull'anonimato. Anche quì si accettano di superare certi limiti e di "trasgredire" solo quando fa comodo.

  • Caro Viola, grazie per essere sceso dall’Olimpo e per averci schiacciato con la tua dottrina, giusto per rimarcare la distanza tra la Rosa dei Beati che possiedono la verità e il popolo dei blogger bifolchi che trasformano il diritto di esprimere la propria opinione, giustamente difeso da te e dal tuo direttore, in volgaaaaare aggressività (“tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri”). Grazie per averci illuminato con le tue parole (parole, appunto), magari avessi saputo trovarne di altrettanto forbite e convincenti in conferenza stampa/performance, invece dello slogan da quattro spiccioli “Libera arte in libero stato”, e magari fossi stato altrettanto lucido nei contatti con la Bruguera, onde evitare i fraintendimenti su cui ha marciato la vostra campagna stampa. Grazie per non aver chiarito il mistero dei biglietti venduti, o del cachet dell’artista (questo “dinero”!), grazie per averci teso l’amo di uno spettacolo puerile (volevate fare la serata futurista?). La Bruguera ha ripetuto più volte di sentirsi “ridicola”, e forse lo era, se non altro perché s’era conciata come il Dalai Lama candeggiato (per darsi un’aria ancor più Mystica?). Ma permettimi di suggerirle un vocabolo (magari glielo invii tu a tarda notte): disonesta.

  • eugenio, dai, questo è ciò che capita ai nomi che godono di "supporti" e spintarelle. non devi forse rendere grazie alla tua "amicizia" con lorand hegyi? e poi ti sei trascinato dentro la tua amichetta del cuore che non aveva alcun curriculum curatoriale, critico o saggistico.

    in tutta coscienza e onestà, vuoi forse convincerci che sei curatore al madre per i tuoi soli meriti?

  • Caro Eugenio Viola,
    ma come si fa a parlare ancora di "gente comune"... mi sa che vanghe e vomeri dovresti usarli tu.. forse almeno capiresti qualcosa in più della vita in generale (arte compresa).

  • Viola ha parlato tanto e non ha detto niente, si aspettava un chiarimento, sono uscite ciance.
    Mi sembra molto volgare da parte di Viola parlare della "gente" come fosse "plebe" dall'alto della casta degli intoccabili.
    Caro Viola, il critichese lo parlano in tanti, ma i fatti non li racconta nessuno, perche'?

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