Abbiamo già visto come Google Maps
possa essere molto utile per dare un’occhiata alle opere di Land Art più spettacolari sparse per il nostro pianeta. Ma, dobbiamo ammetterlo, ormai la Terra è acqua passata. Tra non molto sarà piuttosto difficile per noi abitarvi, tra riscaldamenti globali, aumento della popolazione e altre amenità, quindi faremmo meglio a pensare a qualche via di fuga. In attesa della costruzione di una nave colonica verso Alpha Centauri, gli artisti stanno iniziando a pensare seriamente alle possibilità espressive dello Spazio. In effetti, la storia dei progetti artistici ultraterrestri non conta ancora tantissimi esempi ma è iniziata già diversi anni fa.
Nel 1969, infatti, sei artisti americani inviarono i loro disegni, impressi su una piccola lastra di ceramica, direttamente sulla Luna, a bordo dell’Apollo 12. Erano Andy Warhol, che disegnò un pene, Robert Rauschenberg, che tracciò una linea retta, Claes Oldenburg, che diede una versione stilizzata del viso di Topolino, e John Chamberlain, Forrest Myers e David Novros, che rappresentarono delle figure geometriche. L’opera si chiama The Moon Museum e, a meno che non sia finita in qualche bellissima casa dall’altra parte dell’universo, dovrebbe essere ancora in esposizione sul nostro bel satellite ma l’informazione non è stata confermata dalla NASA. La prima opera spaziale di cui è ancora certa l’esistenza è Fallen Astronaut, realizzata nel 1971 da Paul Van Hoeydonck. Si tratta di una scultura in alluminio, di pochi centimetri, trasportata nel corso della missione dell’Apollo 15 ed è un omaggio ai 14 astronauti americani e sovietici deceduti nel corso di varie operazioni.
Ma è solo negli ultimi anni che gli artisti hanno deciso di dedicarsi a questo nuovo orizzonte con più attenzione. C’entra qualcosa l’istituzione di diverse società di ricchi viaggi spaziali turistici?
Nel 2014,
Makoto Azuma ha lanciato un bonsai e un bouquet di fiori nella stratosfera, a bordo di un pallone aerostatico progettato da JP Aerospace. Le fotografie dei petali colorati che si disperdono sullo sfondo del nero più nero che si può immaginare sono veramente molto suggestive. Ma l’esperienza dello spazio non è solo visiva. Si sente qualcosa dall’altra parte? All’aspetto sonoro si sono dedicati
David Haines e
Joyce Hinterding, per
Soundship (descender 1), una piccola astronave equipaggiata con vari tipi di registratori e di nastri, per tenere traccia di tutti i suoni prodotti nel coso del suo viaggio a circa 33 chilometri di altezza, nella stratosfera. Cosa si sente?
Una strana polifonia vagamente industrial, con ronzii un po’ inquietanti. Non proprio la Berliner Philharmoniker di
2001: Odissea nello spazio.
Gli ultimi casi hanno fatto discutere e c’è da scommettere che costituiranno un precedente importante: Orbital Reflector di Trevor Paglen, ed Enoch, di Tavares Strachan, entrambi lanciati in orbita a bordo di un razzo di Elon Musk.
Paglen ha realizzato un grande pallone in polietilene e rivestito di biossido di titanio, a forma di diamante, che riflette la luce solare, apparendo dalla Terra come un punto luminoso nel cielo. Il suo viaggio dovrebbe durare almeno due mesi, prima che la scultura si disintegri al rientro nell’atmosfera terrestre. L’artista ha incontrato il parere ostile di diversi astronomi, dubbiosi sulla finalità di un progetto del genere ma, d’altra parte, l’arte è necessariamente inessenziale, a parte che per la sua funzione critica e riflessiva, oltre che poetica.
L’opera di Strachan ha tratti più politici. Enoch è un vaso d’ispirazione egiziana, in oro 24 carati e sormontato da un busto che rappresenta Robert Henry Lawrence Jr, il primo afroamericano selezionato per il programma spaziale americano che, però, non riuscì a realizzare il suo sogno di viaggiare nello spazio. Morì infatti nel 1967, in un incidente aereo durante l’addestramento.