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Cosa collezionava Claude Monet? Impressionisti, stampe giapponesi e altro, in mostra al Marmottan

di - 18 Gennaio 2018
“Monet collectionneur”, la mostra al Musée Marmottan di Parigi che ha appena chiuso i battenti, ha apportato un importante contributo alla comprensione, non solo della personalità umana di Claude Monet, ma anche del ruolo svolto, per la sua formazione, dagli altri maestri protagonisti della sua epoca, oltre che degli apporti attinti dai suoi predecessori, di cui si sentiva debitore.
Artista indiscusso, fu anche amante della ricerca che i suoi contemporanei portavano avanti pur in direzioni diverse. Per la propria maturazione, utilizzò quella produzione, appropriandosene quando gli fu possibile, non solo per conseguire una visione ravvicinata più intima e indagatrice ma anche per incrementare la sua raccolta che, come dichiarò, era «solo per me stesso e per un manipolo di amici» e «la porto nella mia camera da letto attorno al mio letto».
Questa passione collezionistica lo spinse a raccogliere centinaia di opere ma della loro consistenza si perse traccia perché, dopo la sua morte, il figlio Michel Monet, unico erede, non si prese cura di quel patrimonio culturale, smontandone l’allestimento e stivando le opere. Poi, per un incendio causato dagli eventi bellici della II Guerra Mondiale, l’archivio-catalogo fu distrutto e Michel, per finanziare la sua passione per i safari in Africa, suo principale interesse nella vita, cominciò a vendere gradualmente i pezzi pregiati, a partire dai Cezanne e dai Manet, fino a quando gli rimasero solo le opere allora considerate, per nostra fortuna, di minor valore: le stampe giapponesi e le serie di ninfee, oltre alle opere del padre che aveva conservato. A quel punto, nel 1966, donò all’Académie des Beaux-Arts quelle opere e la residenza di Giverny, beni che negli anni successivi divennero il fulcro dell’allestimento della Fondation Claude Monet Giverny, nella villa restaurata, e della costituzione del Museo Marmottan Monet.
Questa mostra è il risultato di una sorta di indagine poliziesca, condotta dalle fondazioni facenti capo all’Académie des Beaux-Arts per ricostruire l’elenco delle opere, la storia delle preferenze, passioni e circostanze delle progressive acquisizioni e approfondire così anche questo aspetto dell’artista impressionista. Per ricomporre il senso e i contenuti della straordinaria esperienza, l’esposizione di un centinaio di opere racconta le diverse fasi della loro raccolta. All’inizio, i regali ricevuti, soprattutto ritratti suoi e dei suoi familiari fatti dai suoi amici impressionisti, come Monet che legge (1872) e Madame Monet e suo figlio (1874) di Pierre Auguste Renoir o il Monet che dipinge sull’atelier (1974) di Edouard Manet; poi gli scambi di opere con gli altri maestri avvenuti per stima e riconoscenza reciproca: da Auguste Rodin, Monet, in cambio di una Veduta di Belle-Ile, riceve un bronzo e in seguito due gessi di cui uno, Baccanti che si abbracciano, con dedica autografa – proveniente da una collezione privata – presentato per la prima volta da questa mostra; da Pissarro, Contadine che piantano remi (1891), in segno di gratitudine per il contributo all’acquisto della sua masseria. E poi le opere ricevute, tra gli altri, da Caillebotte, Jongkind e Berthe Morisot. Nel 1890 inizia l’epoca degli acquisti sia delle opere dei predecessori dei quali riconosceva l’influsso subito, ad esempio Corot, con il suo Ariccia, Palazzo Chigi (1826/27), che dei contemporanei, rifornendosi in grande quantità e con cospicui investimenti dai mercanti di Renoir e Cézanne. Di quest’ultimo acquista, fra i tanti esposti, il capolavoro Le Nègre Scipion (1867) eccezionalmente prestato dal Museo di Arte di São Paulo.
Alla fine Monet si dedicò alla raccolta di stampe giapponesi, fra le poche testimonianze rimaste di quella splendida avventura e che ancora rendono indimenticabile il fascino e l’allure della magica residenza di Giverny. (Giancarlo Ferulano)

In home e in alto: Monet collectionneur al Musée Marmottan Monet. Foto: Christian Baraja

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