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“Riconosciamo la produzione artistica e culturale come attività comune, come frutto dell’incontro tra la singolarità e la dimensione sociale, cooperante e collettiva”. Con questo assunto domani, 8 marzo, alla sede milanese dell’Associazione Culturale City Art, in via Dolomiti 11, partirà un panel di discussione tenuto da Cristina Cherchi, Elisabetta Oneto e Angelo Caruso, per tentare di sviluppare una nuova prospettiva intorno alla situazione attuale, dove gli artisti fanno fatica ad identificarsi con le proteste degli altri lavoratori “precari” anche a causa di un welfare che, per l’arte, non è mai stato nemmeno assistenzialista. Eppure da questa necessaria ri-appropriazione di uno status dell’arte che riconosca il carattere sociale, reticolare, comune dell’atto di creazione è necessario ripartire.
«Ci autofinanziamo sia per acquisire un alto livello di formazione, maturando una grande aspettativa. Sempre “di tasca nostra” investiamo le nostre risorse per mettere in pratica il meglio che sappiamo fare, così da ritagliarci un ruolo di prestigio nel sistema dell’arte. Da tempo, noi artisti, aspettiamo che questo sistema ci riconosca un’economia, che ci permetta di produrre qualcosa di concreto, in modo indipendente e nel rispetto della libertà d’espressione, anche al di fuori di un’ottica di accumulo e profitto. Questo diritto non ci viene dato, ma non ci viene neanche negato di principio. E’ da questo punto che comincia lo sfruttamento: investiamo per salvaguardare il nostro ruolo e in cambio veniamo pagati per una miriade di sotto prodotti che vanno a comporre il vero mercato dell’industria culturale» si legge nel manifesto di “Cosa conviene fare”, sul portale di SitArt. Le cause? Mancanza di etica professionale nel settore di quella cultura di cui tutti vanno riempiendosi la bocca, ma che in fonda resta un nodo scoperto della politica della penisola? L’incapacità di stabilire criteri di valutazione e il mancato riconoscimento dei veri operatori dell’arte e chi effettivamente fa ricerca? O tutta colpa della crisi economica? «Guardare al futuro significa credere nel valore pubblico della cultura, nella sua capacità di produrre senso e comprensione del presente per l’avvio di un radicale disegno di modernizzazione del nostro Paese. Per queste ragioni chiediamo che l’azione del Governo e del Parlamento nella prossima legislatura, quale che sia la maggioranza decisa dagli elettori, si orienti all’attuazione di queste priorità». Per condividere, lanciare opinioni, portare la propria esperienza, e per non far calare l’attenzione su una situazione sconcertante, dove spesso solo chi può campare “di tasca propria” sembra campare, l’appuntamento è dalle 17.