Aprirà le porte sabato, 23 maggio 2020, e chiuderà il 29 novembre 2020,
la prossima biennale Architettura, che si intitolerà “How will we live together? / Come vivremo insieme?”.
Il curatore Hashim Sarkis ha commentato come una didascalia ogni parola del titolo. How/Come, perché ci saranno esempi concreti; will, non solo come futuro, ma come volontà e attitudine; live/vivremo, non solo come soddisfazione dei bisogni primari, ma come abitare con una cultura condivisa e insieme, together, non solo a chi è uguale a noi, ma all’alterità a iniziare dall’alterità assoluta con il virtuale e le tecnologie, passando per l’alterità relativa con le altre specie e infine come vivremo insieme a chi è culturalmente diverso da noi. Questi sono i temi proposti in sintesi dal curatore che, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha delineato un piccolo manifesto del suo modo di intendere l’architettura.
Prima di tutto, per Sarkis, la distinzione fra architetti famosi (archistar nella vulgata pop) e architetti giovani, emergenti o, semplicemente, sconosciuti o non noti alle cronache patinate, non ha senso, mentre lo ha la distinzione fra architettura e non architettura come modus operandi. Ha poi precisato che i nostri sono tempi in cui il bisogno dei committenti è di rispondere a temi globali, con un alto contenuto tecnologico, in cui la difficoltà diventa interpretare i luoghi e dare loro senso.
Paolo Baratta ha aggiunto che quello dell’Archistar era un modo di supplire alla domanda di bisogni primari, con una coltre spettacolare che nascondesse l’evidente mancanza di temi chiari e necessità primarie prima di tutto da parte della committenza. Usando una metafora nautica, ha detto che, ritiratasi la marea dei problemi, si rispondeva con lo spettacolo ma, adesso che questa marea ha ripreso tutto il suo spazio, abbiamo bisogno urgente di esempi, di soluzioni a domande chiare ed esigenze poste in un contesto specifico. Baratta ha ribadito poi che la Biennale ha l’ambizione di durare sei mesi, come sempre, e ha re-indicato il ruolo chiave del pubblico che, da semplice spettatore meravigliato, viene chiamato a interagire e modificare lungo tutta la durata della mostra il contenuto stesso, fornendo la propria risposta.
In definitiva, sembra quasi l’annuncio di un neo-funzionalista illuminato che rivendica uno specifico disciplinare e una precisa responsabilità tecnica, sociale e politica dell’architetto in quanto artefice di un’opera di architettura. La sua scelta suona come un richiamo allo specifico dell’architettura, dopo anni di divagazioni.
Paolo Baratta, insomma, promette e augura una Biennale degli esempi e delle domande a cui dare risposta, specificando che la scelta di cosa sia una mostra di architettura è già una presa di posizione dirimente e che ogni curatore deve compiere, rispetto alla sua idea di architettura. Cosa sia mostrare l’architettura, dato che ogni cosa è contenuta in un’architettura, è in effetti sempre stato il rovello dei grandi installatori di mostre, anche architetti. E rispondere a questa domanda, viene da aggiungere, è già architettura.
La questione, per chi non conosca Hashim Sarkis, è chi sia e cosa abbia fatto fino a ora. Sarkis è nato in Libano, è l’attuale direttore della Scuola di architettura e pianificazione del MIT di Boston, l’università sempre con un ranking fra i più alti fra scuole di architettura nonché fra le più costose scuole private in assoluto. Nominato curatore della prossima edizione della Biennale lo scorso 18 dicembre dalla commissione, sotto indicazione di Paolo Baratta, oltre all’attività accademica svolge la professione di architetto e urbanista nel suo studio
HSS. La sua ricerca è stata soprattutto legata alla storia della città, alla tipologia architettonica declinata come capacità di cogliere gli aspetti fenomenologici dell’architettura rispetto a un luogo, non come serie di regole ripetute e da ripetere ancora e, infine, lo studio del modernismo declinato nella chiave di dialogo con l’esistente.
Fra le sue pubblicazioni Josep Lluis Sert, The Architect of Urban Design (New Haven, CT: Yale University Press, 2008); Circa 1958, Lebanon in the Projects and Plans of Constantinos Doxiadis (Beirut: Dar Annahar, 2003); e Le Corbusier’s Venice Hospital (Monaco di Baviera: Prestel, 2001). (Irene Guida)
In alto: Hashim Sarkis, Paolo Baratta. Photo by Jacopo Salvi, Courtesy La Biennale di Venezia