Al secolo portano i nomi di Lauren Boyle, Solomon Chase, Marco Roso e David Toro, ma sono meglio conosciuti per la loro pubblicazione, che porta anche il loro nome collettivo: DIS Magazine. Sono newyorkesi, e sono più o meno conosciuti per le loro installazioni e i loro interventi site specific, come la recente occupazione del New York Red Bull Studios, per un’azione che consisteva nella vendita al dettaglio di pop-up disegnati da Lizzie Fitch.
Hanno un’agenzia fotografica, DISimages, e sono stati anche protagonisti di un intervento al PS1, nel 2013. Sono insomma un quartetto frutto del contemporaneo più “avanzato”, con una decisa chiave di lavoro “internet-centrica”, e chissà come trasformeranno la nona biennale di Berlino. Esatto, perché saranno i DIS che cureranno la prossima rassegna tedesca, nell’estate 2016, scelti da una giuria internazionale composta dalla docente al Goldsmith College di Londra Elvira Dyangani Ose, dalla ex direttrice della Biennale di Istanbul Fulya Erdemci, Susanne Gaensheimer, direttore dell’MMK Museum für Moderne Kunst di Francoforte, il curatore Edi Muka, María Inés Rodríguez, direttrice al CAPC di Bordeaux, Ali Subotnick, curatore all’Hammer Museum di Los Angeles, e Philip Tinari, direttore dell’Ullens Center for Contemporary Art di Pechino.
Una nuova mossa che non tradisce le aspettative intorno alla biennale europea più sperimentale, passata dai fasti di Cattelan, Gioni e lo stesso Subotnick nel 2006 alla contradditoria e chiacchierata edizione di Artur Zmijewski nel 2012, dalla bella prova di Adam Szymczyk e Elena Filipovic alla “sordina” di Juan A. Gaitàn in questo 2014. Ne vedremo delle belle?