“Derain, Balthus, Giacometti-Une amitié artistique”, è una di quelle mostre in cui il valore prevalente consiste nella sua idea fondativa e vanno quindi innanzitutto citati ed encomiati Jacqueline Munck, curatrice, e Fabrice Hergott, direttore del Musée d’Art Moderne de la ville de Paris. In più c’è la scelta delle opere e dei materiali messi in confronto, sofisticata e interessante.
Tre artisti, André Derain (1880-1954), Balthus Balthasar Klossowski (1908-2001) e Alberto Giacometti (1901-1966) che, pensando alle immagini caratterizzanti ciascuno di loro e impresse nella memoria, non dico un esperto sapiente ma il fruitore medio non penserebbe mai di mettere in relazione. E invece la mostra ricostruisce con attenta cura le tappe della loro storia artistica e le trama della loro relazione. Intensissima, duratura e fortemente condivisa.
Vengono messe a confronto più di 350 opere dei tre amici, tra oli, sculture, opere su carta e fotografie dal 1930 al 1960, articolate in nove sezioni – La visione culturale, Vite silenziose, Modelli-ritratti incrociati, Il gioco-la pazienza, Intermezzo, Il sogno-visioni dell’ignoto, A’ contretemps nello studio, L’artiglio scuro – che configurano una visita piacevole, emozionante e spesso sorprendente. La cronologia delle loro relazioni offre una visione stimolante dei molteplici incroci e della loro complicità. Quella che emerge è la visione estetica che li accomuna; tutti e tre condividono il desiderio di modernità e l’interesse per la pittura classica e le culture lontane; affascinati da «les forces obscures de la matière» (Derain) e dalla realtà «merveilleuse, inconnue» che è sotto gli occhi (Giacometti).
Dopo i tre splendidi autoritratti all’inizio della mostra, ci si insinua nel lungo dipanarsi del loro sodalizio e delle reciproche fascinazioni, dal loro incontro nel 1933, la prima fase surrealista che ciascuno abbandonerà presto, all’intensificazione degli scambi a partire dal 1935. Derain, il più presente nella mostra, è più anziano di una generazione ed esercita sugli altri una forte fascinazione. Per Giacometti, infatti, Derain «è il pittore che mi appassiona di più, che più mi ha arricchito e da cui ho appreso di più dopo Cézanne» e della sua Natura morta con pere dichiara la propria profonda predilezione. Nel lungo percorso, movimentato fra quadri, sculture, oggetti e disegni e dal loro intelligente, continuo raffronto, si scopre non solo quanto vasta e differenziata sia stata la produzione di Derain, ma anche, per Balthus, la sorprendente qualità e originalità di soggetti per lui meno consueti, interni e nature morte, paesaggi e scene urbane. In particolare, colpisce La rue (nella versione del 1933 del MOMA di New York): un enigma intrecciato nella geometria della composizione e nelle posture impacciate dei figuranti come in una scena di teatro, nella quale nulla sembra reale, le insegne sono anonime, l’architettura piatta, un’immagine senza tempo. E nella lettura della complessa opera di Giacometti viene suggerita una diversa angolazione che evidenzia il sottile processo di sottrazione durante la composizione, incessantemente alla ricerca di quello che c’è e di quello che si nasconde dietro quanto si vede.
La presentazione degli ateliers dei tre artisti è avvincente e stimolante: risulta veramente spiritosa la ricostruzione dello studio di Derain con una poltrona rivestita del tessuto di una vestaglia che lo stesso indossava in un suo ritratto, lì pure esposto, dipinto da Balthus. Mentre sono parziali la ricomposizione di quello di Balthus, così come l’aveva visitato Federico Fellini nel 1995, e di quello di Giacometti, descritto nel 1957 da Jean Genet.
In comune, nelle opere dei tre artisti, sfilano le stesse modelle; Derain esegue numerosi ritratti di Isabel Rawsthorne e Giacometti ne scolpisce il volto e la ritrae più volte; d’altronde Balthus e la moglie Antoinette sono amici d’Isabel, che è anche un’artista. Sonia Mossé è modella di Derain e di Balthus e legata ad Antonin Artaud, verrà deportata nel 1943, al campo di Sobibor. Le adolescenti di Balthus sono il controcanto dei ritratti di Derain della nipote Geneviève. Vengono poi messe in luce le interazioni con un nutrito numero di artisti contemporanei, come Artaud, Max Jacob, Andre Breton, Luis Aragon, Jean Cocteau, Albert Camus, Pierre Jean Jouve, Samuel Beckett, Jean-Paul Sartre e André Malraux e di figure di teatro con le quali costruiscono anche progetti di allestimenti che vengono meticolosamente documentati. Sono tutti appassionati di teatro, balletto, opera. Del balletto I Fasti, Derain scrive il libretto e disegna scene e costumi, George Balanchine ne è il coreografo. Nel 1935, Balthus disegna i costumi della tragedia I Cenci e nel 1950 quelli di Così fan tutte. Nel 1961, Giacometti disegna la scena di En attendant Godot: un sottile albero secco desolante.
Alla fine della mostra sono raggruppate le opere del dopoguerra nelle quali traspaiono i dubbi e le ossessioni per un mondo che dopo una stagione di febbrile ricerca e instancabile sperimentazione ormai appare instabile e ostile. (Giancarlo Ferulano)
In alto: foto di Pierre Antoine