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Gli “orti” in scatola, prelevati da Londra e messi nella Turbine Hall della Tate per la “fertilità” dei vegetali, l’artista messicano Abraham Cruzvillegas non aveva fatto parecchio colpo. Niente rispetto alla grande ferita di Doris Salcedo, o al “sole” di Olafur Eliasson.
Stavolta, invece, sotto la cura di Andrea Lissoni, c’è “Anywhen”, di Philippe Parreno. E, facciamo senza ricordare le mostre all’Armory di New York, al Palais de Tokyo di Parigi e anche all’Hangar Bicocca di Milano, Parreno è una garanzia. Di meraviglia, di stile, dell’incontro tra la poesia e il monumentalismo leggerissimo di installazioni che hanno a che fare con la musica, la luce, l’incontro con altri colleghi (in questo caso ci sono Liam Gillick, Tino Sehgal e Isabel Lewis per l’installazione luminosa, e Nicolas Becker e Cengiz Hartlap per il sonoro).
Stavolta, insomma, alla Turbine Hall – fino al prossimo aprile, grazie al sostegno di Hyundai – siamo sicuri che resterà il segno. Anche perché, come in tutti i suoi interventi, richiede vera e propria partecipazione. Qui, a partire dallo stendersi o sedersi sui tappeti enormi nell’ingresso, e nell’area espositiva, sarete avvolti da un display mutevole fatto di luci alternate, proiezioni, messaggi, e anche un film in cui la voce di Nina Conti vi racconta l’universo e le creature marine, mentre tutt’interno i pesci-palloncino volteggiano.
Dei pesciolini che galleggiano nell’aria un ovvio documentario naturalista e questo dovrebbe lasciare un segno? sicuramente fa capire perché l’arte contemporanea è sempre più evitata dal pubblico, che viene alla Tate perché è un poco d’incontro per la sera, perfetto per ripararsi dal freddo e far passere il tempo dell’attesa, visto che l’ingresso è gratuito.