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Esuberante e meditativa, caratterizzata dall’espressione di una vitalità tanto detonante e universale quanto interiore e organica, qualcosa di simile al kiai, l’emissione vocale durante l’esecuzione del kata, l’arte di Shozo Shimamoto può fare a meno della rigidità dei dualismi, li annulla con un movimento elegante. In quel groviglio di colori e di forme disposto sulle grandi tele e sui vari oggetti residuali delle sue performance, pianoforti e busti ellenistici, si riconosce l’armonia di un preciso istante, la coincidenza secondo la definizione taoista, corrente di pensiero al quale l’artista scomparso nel 2013 si rifaceva esplicitamente. E da oggi, questa perfetta proporzione ha un luogo in cui poter essere fruita, un nuovo spazio espositivo permanente, che arricchisce il panorama dell’arte contemporanea napoletana e, dopo il Museo Nitsch e Casa Morra, amplia il confine del “Quartiere dell’arte” di Giuseppe Morra.
Su salita Pontecorvo, a duecento metri di distanza del Museo dedicato al capofila dell’Azionismo Viennese, trova sede l’Associazione Shozo Shimamoto, negli ambienti del settecentesco Palazzo Spinelli di Tarsia. In accordo con Shimamoto, l’Associazione venne istituita già nel 2007, da Rosanna Chiessi, Laura Montanari e Giuseppe Morra, che si fecero promotori, nel 2006, di una storica performance a Piazza Dante, Un’arma per la Pace, durante la quale il maestro, sollevato dal braccio di una gru, faceva cadere sfere piene di colore su una grande tela, accompagnato al pianoforte da Charlemagne Palestine. «È uno spazio totalmente dedicato alla ricerca artistica di Shimamoto ma in futuro ospiteremo anche mostre di alcuni suoi giovani allievi e progetti legati al contesto in cui si trovò a operare», ci ha spiegato Morra, che conserva un nutritissimo corpus di lavori che saranno archiviati – insieme ad altri di nuova acquisizione, anche grazie al supporto di Andrea Mardegan, referente dell’artista in Giappone – e messi a disposizione per mostre e progetti espositivi.
Soffitti altissimi tipici dei palazzi nobiliari partenopei, ampi muri bianchi, perfetti per ospitare alcune tra le opere più imponenti di Shimamoto che, negli anni ’50, fu tra i fondatori del Gruppo Gutai e si fece interprete delle esigenze di rinnovamento dell’arte giapponese, instaurando un dialogo dinamico con l’estetica occidentale. E che, oggi, a quattro anni dalla morte, è stato riscoperto anche dal mercato, chiudendo un 2017 di record, con Explosion 64-1, olio su tela del 1964, venduto ad aprile, da Sotheby’s Hong Kong per 2.050.488 milioni di euro, e Black Wirlpool, lavoro del 1965, ceduto per 1.664.600 milioni di euro. (MFS)