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Un lavoro mio, del 1961, quando l’Italia era tutta molto povera. Quindi un’opera molto realistica, quasi una testimonianza della nostra storia...”. Questo ci diceva lo scorso anno, ad Artefiera,
Giuseppe Uncini, parlando a
Exibart.tv di un suo cemento. Poche battute, ma che rendono bene la tensione etica che ne animava il lavoro. Animava, perché il grande scultore, uno dei protagonisti assoluti dell’arte italiana dei mitici Sessanta, è morto nella notte scorsa a seguito di un malore che lo ha colto nella sua casa in Umbria, a Trevi. Nato a Fabriano nel 1929, nel 1953 si era trasferito a Roma su invito dello scultore
Mannucci che lo aveva accolto nel suo studio dandogli la possibilità di frequentare artisti come
Afro, Burri, Cagli, Capogrossi, Colla, De Kooning, Leoncillo, Marca Relli e
Turcato. La svolta nell’evoluzione artistica di Uncini arriva nel 1958, con la creazione del primo
Cementarmato, opera/oggetto costruita con il cemento, tecnica che resterà la sua cifra distintiva e lo renderà celebre anche a livello internazionale. Con
Festa, Lo Savio, Angeli e
Schifano, fu tra gli animatori della Scuola Romana, e nel 1961 allestì la sua prima importante personale alla Galleria l’Attico di Roma. Nel 1965 lavora al gruppo di lavori
Strutturespazio, che saranno poi presentati nel ’66 alla
XXXIII Biennale di Venezia, dove sarà anche nel 1984 con una sala personale. Nel 1990 partecipa alla rassegna
L’altra scultura a Madrid, Barcellona e Darmstadt, mentre nel 1999 espone al PS1 di New York in
Minimalia. Nel 2007 una sua ampia antologica era stata presentata nelle due sedi delle gallerie Gio Marconi e Christian Stein.
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Il video di Exibart.tv con l’intervista a Giuseppe Uncini[exibart]
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Un saluto dovuto a un grande maestro