In Turchia, gli ultimi strascichi del fallito colpo di stato del luglio 2016 sono allarmanti, per quanto prevedibili. Sei intellettuali, tra scrittori e giornalisti, sono stati condannati all’ergastolo, al termine di un processo le cui modalità di svolgimento hanno destato sconcerto. Lo scrittore Ahmet Altan, 67 anni, il fratello Mehmet, 65 anni, economista e giornalista, Nazli Ilack, 74 anni, tra le voci più influenti della stampa turca, l’intellettuale Sahin Alpay e altri due reporter sono stati condannati per aver tentato di «sovvertire l’ordine costituzionale», sostenendo la presunta rete golpista di Fethullah Gulen, il principale avversario politico del presidente Recep Tayyip Erdogan e considerato responsabile del fallito colpo di Stato del 15 luglio. L’accusa è aver inviato «messaggi subliminali» nei giorni precedenti al golpe, per favorirne la riuscita. In loro difesa si erano mosse agenzie di stampa e associazioni internazionali, come Reporters Sans Frontieres e l’italiana Articolo 21.
È stato tutto inutile ma è la stessa procedura che ha portato alla condanna a risultare inaudita e inaccettabile. Il mese scorso, infatti, la Corte costituzionale, c si era espressa sulle misure cautelari prese contro Altan, ordinandone l’immediata scarcerazione. La sentenza, emessa dall’organo che rappresenta l’ultimo grado di giudizio nella giurisprudenza turca, è stata però ignorata, ripetendo quanto di simile era accorso a un altro intellettuale turco, lo scrittore Elvan Alpay. Accusato di legami con la frangia golpista, la Corte ne aveva ordinato la liberazione ma un tribunale di grado inferiore ha ribaltato la sentenza.
Poche ore prima, da Ankara era arrivato un segnale distensivo, almeno nei confronti della Germania, con la quale i rapporti si erano andati deteriorando nel corso degli ultimi tempi. Deniz Yucel, 44 anni, giornalista turco-tedesco, corrispondente di Die Welt, arrestato a febbraio 2017, è stato rilasciato e adesso è in libertà condizionata ma dovrà affrontare il processo, rischiando fino a 18 anni di prigione. Con un sistema giudiziario completamente allo sbando, la situazione in Turchia diventa sempre più critica, dal colpo di Stato sono finite in carcere oltre 50mila persone, tra cui 170 giornalisti, mentre 120mila hanno perso il lavoro, tutte accusate di essere seguaci di Gülen.
Ma la questione coinvolge direttamente anche l’Europa, perché Alpay e diverse altre persone hanno fatto appello alla Corte europea dei diritti dell’uomo, tribunale istituito nel 1959 nell’ambito del Consiglio d’Europa, l’organizzazione che raggruppa tutti i paesi europei e alcuni asiatici, tra cui Russia e Turchia che sarebbe obbligata a rispettarne le sentenze. In caso contrario, potrebbe subire delle sanzioni dal Consiglio d’Europa, fino a essere espulsa dall’organizzazione.
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