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La Campania Felix del contemporaneo. Chiude la mostra al Madre e si aprono nuove prospettive

di - 3 Maggio 2018
Di martedì, il Madre chiude. Ma questo primo maggio è rimasto aperto per l’ultimo giorno della mostra “Pompei@Madre.Materia Archeologica”. Coloratissimo, caleidoscopico, ci accoglie il vestibolo del museo di via Settembrini, dove il giallo delle strisce verticali dell’ingresso, create da Daniel Buren, è uguale a quello della facciata di fronte, oltre la strada, e la fa entrare. Mentre le strisce verticali bianche e nere ribaltate anche sul pavimento non sono perpendicolari al fondo ma scivolano a destra e concorrono a sbalestrarci dalla consuetudine visiva e a comunicarci un mondo diverso, in cui lo spazio non è più quello e neanche il tempo.
È di migliaia di anni fa il vestibolo di una casa vesuviana che adesso si trova qui. Mostra subito la ricchezza del proprietario romano con una cassaforte intarsiata e un tavolo magnifico del quale conosciamo i piedi: due leoni con le ali, tutti in marmo. È arte della Campania Felix che, dell’Impero romano, era il centro culturale e aveva una cultura che assorbiva le voci estranee rendendole proprie e non perdendo mai la propria greca identità.
In questo viaggio nello spazio e nel tempo, ci fa da guida Andrea Viliani, il brillante Direttore del Madre e co-curatore della mostra, insieme a Massimo Osanna, Direttore Generale del Parco Archeologico di Pompei. Ci parla di una Pompei rivissuta sempre diversa nella leggenda e poi anche nella storia quando, nel Settecento, fu scavata da sottoterra e Goethe diceva che nessuna catastrofe aveva dato tanta gioia all’umanità come l’eruzione vesuviana del 79 d. C.. A Chateaubriand sembrava che gli abitanti di Pompei l’avessero lasciata quindici minuti prima. Oggi, dopo questa mostra, lo stesso concetto di arte contemporanea sarà ripensato in un modo diverso. Perché il concetto di tempo diventerà un altro. Non più l’illuministica semiretta di Condorcet e Voltaire. Ma forse – dice Viliani – vi sarà il tempo di Vico o di chissà chi. Rimarrà aperta, fino al 24 settembre, la sezione “Pompei@madre. Le collezioni”. Quasi a voler ribadire che l’arte antica, con la creazione della figura umana che i Romani diffusero nel mondo, è all’origine dell’arte e dell’identità dell’Occidente. Che deve essere aperto al mondo globalizzato ma senza certe confuse commistioni.
E Viliani ci parla del Louvre, dove oggi ci sono ben quarantatré sale dedicate all’arte islamica, bella quanto si vuole ma aniconica (e ciò significa qualcosa), mentre lo stesso suo nome il Louvre lo ha prestato al Museo costato 450 mln di dollari, ad Abu Dhabi, il più grande tra gli Emirati Arabi, resi ricchissimi dall’occidentale scoperta dell’uso del petrolio. Si può difendere l’Occidente e la sua cultura rifacendosi all’antico. La grecità è stata più volte rifatta, dagli stessi Romani, che fecero copie degli originali greci, che già all’epoca della loro occupazione della Grecia balcanica (146 a. C.) erano pochissimi, traducendoli con la loro gravitas. Viliani ci mostra dei cocci di vasi distrutti dai bombardamenti angloamericani del ’43. Si possono riutilizzare, dice.
E accenna al progetto, che partirà quest’estate, di riutilizzare questo materiale per la produzione di opere d’arte contemporanea. Oggi sembra che si ricerchi il classico. Che già è rivissuto dai contemporanei, come Michelangelo Pistoletto, Francesco Vezzoli e Adrian Tranquilli, in modi diversi.
Lo stesso MANN-Museo Archeologico Nazionale di Napoli, aprirà altre sale ai reperti ora tenuti nei depositi. E sembra che la Cassa Depositi e Prestiti si attiverà per la realizzazione di un grande museo pompeiano, a Pompei. Dalla Campania Felix, un nuovo Rinascimento?
(Adriana Dragoni)
In alto: Allan McCollum, The Dog from Pompeii / Il cane di Pompei, 1993. Collezione

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