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Fuggì da Parigi, sotto l’assedio delle truppe tedesche, per riparare a New York, dove apri una galleria dedicata all’arte “di questo secolo”. Peggy Guggenheim attraversò le turbolenze del Novecento con passione e sensibilità ma a Venezia trovò qualcosa che la convinse a rimanere, fino alla sua scomparsa, avvenuta il 23 dicembre del 1979: «Viverci o semplicemente visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta più posto per altro». Trenta anni prima, nel 1949, Peggy Guggenheim aveva acquistato Palazzo Venier dei Leoni, «splendida dimora non finita» sul Canal Grande. Oggi, la sua Collezione ricorda le sue origini, con un programma espositivo e di attività che ne ripercorre la storia, attraverso le grandi pagine dell’arte, tra mostre e attività collaterali.
In concomitanza con l’apertura di “Dal gesto alla forma. Arte europea e americana del dopoguerra nella Collezione Schulhof”, mostra a cura di Karole P. B. Vail, direttrice del museo veneziano, e Gražina Subelytė, è stato presentato un riallestimento della collezione permanente. Dal Cubismo al Futurismo, dalla pittura metafisica all’astrazione europea, fino alla scultura d’avanguardia e al Surrealismo, in esposizione la maggior parte delle opere acquistate da Peggy Guggenheim tra il 1938 – quando a Londra, insieme a Jean Cocteau, aprì Guggenheim Jeune, la sua prima galleria – e il 1947, anno in cui si stabilì nella città lagunare.
«E se questa presentazione getta luce sul collezionismo pre 1948, dal 21 settembre aprirà l’attesa mostra “Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa”, che celebrerà il collezionismo post 1948: dipinti, sculture e opere su carta acquisite tra la fine degli anni quaranta e il 1979», ha dichiarato Vail. In esposizione opere di artisti italiani come Emilio Vedova, Edmondo Bacci, Tancredi Parmeggiani, Marina Apollonio, Alberto Biasi e Franco Costalonga, accanto ad altre di René Brô, Gwyther Irwin e Grace Hartigan, con un focus sui pittori di origine giapponese come Kenzo Okada e Tomonori Toyofuku.
Tra questi due momenti che ripercorreranno la storia del collezionismo di Peggy Guggenheim, “La Natura di Arp”, mostra organizzata dal Nasher Sculpture Center di Dallas. Un omaggio a Jean Hans Arp, primo artista a far parte della sua collezione, con la scultura Testa e conchiglia (1933). Il tributo proseguirà anche con la prima mostra del 2020, “Migrating Objects”, un’esposizione che farà luce su un momento cruciale, seppur meno conosciuto, della sua storia di collezionista: il suo interesse degli anni ’50 e ’60 per le arti dell’Africa, dell’Oceania e delle Americhe.
A corollario del programma espositivo, un fitto calendario di attività, eventi, conferenze, workshop, approfondimenti, sulla scia degli incontri organizzati dalla mecenate, che scelse di aprire la sua casa al pubblico. “Point of View” darà voce al pubblico, per ricostruire la figura di Peggy Guggenheim attraverso la memoria collettiva nella comunità locale. Inoltre, in un dialogo tra passato e presente, tre conversazioni con tre donne, filantrope e collezioniste: Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Presidente dell’omonima Fondazione torinese, tra le figure di maggior spicco del collezionismo italiano e internazionale, Lekha Poddar, della Devi Art Foundation (Dehli, India), attiva nel panorama artistico medio-orientale, Francesca Thyssen-Bornemisza (von Habsburg), fondatrice di Thyssen-Bornemisza Art Contemporary, tra le maggiori collezioni d’arte contemporanea in Europa. Tre donne che, come Peggy Guggenheim, possono essere d’ispirazione per le generazioni future.
«Mia nonna Peggy ha creato a Venezia uno spazio di libertà. Come Peggy collezionò l’arte del suo tempo, oggi noi conversiamo con il pubblico del nostro tempo», ha ricordato Vail. E in questo impegno sull’attualità, rientra anche la collaborazione, già avviata lo scorso anno, tra la Collezione e ASviS-Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, che si occupa di promuovere i 17 Obiettivi dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite, per affrontare i temi urgenti della contemporaneità attraverso la lente dell’arte.
In home e in alto: foto di Matteo De Fina