Mentre in Italia tutti gli occhi, più o meno assonnati, erano puntati sulle varie maratone elettorali, al Dolby Theater di Los Angeles si assegnavano gli awards dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, la storica organizzazione professionale onoraria fondata nel 1927.
Come previsto dal numero di nomination, ben tredici, questa novantesima edizione degli Oscar è stata sbancata da La forma dell’acqua, la favola molto attuale del regista messicano Guillermo del Toro, già Leone d’Oro come miglior film alla 74ma Mostra del Cinema di Venezia, che oltre a vincere la statuetta come Miglior Film, si è aggiudicata anche quelle per la colonna sonora, la scenografia e la regia. Ad annunciarlo, la coppia Warren Beatty e Faye Dunaway che in molti ricorderanno non solo per le loro magistrali interpretazioni in pellicole del calibro di Gangster Story e Quinto potere ma anche per la gaffe durante la cerimonia dell’anno scorso: «Il vincitore è La La Land…anzi no scusate, Moonlight». Gary Oldman ha vinto il premio come Miglior attore per la sua interpretazione di Winston Churchill, irriconoscibile per il trucco e incredibilmente espressivo ne L’ora più buia, di Joe Wright. Dopo i Bafta e i Golden Globes, Frances McDormand si è aggiudicata anche qui il premio come Miglior attrice, madre coraggiosa in Tre manifesti a Ebbing, Missouri, di Martin McDonagh, che vince anche l’Oscar per il Miglior attore non protagonista, per l’interpretazione di Sam Rockwell. «Sono in iperventilazione, se casco per terra raccoglietemi, perché qualcosa devo dirla», ha esordito McDormand, già vincitrice, nel 1997, dell’ambito Oscar, per la sua parte in Fargo, dei fratelli Coen. E qualcosa l’ha detta ed è stata applauditissima, perché dopo aver ringraziato «il suo clan», cioè il marito Joel Coen e il figlio adottivo Pedro, entrambi in platea, si è rivolta a tutte le donne candidate in sala, esortandole ad alzarsi in piedi: «Meryl se lo fai tu, lo faranno tutte», ha detto alla Streep, in prima fila, «Tutte abbiamo storie da raccontare e progetti da finanziare di cui parlare. Ma non stasera durante le feste. Chiamateci tra tre, quattro giorni, nei vostri uffici naturalmente. O venite nel nostro, come credete meglio, e vi diremo tutto. Ho due parole prima di lasciarvi stasera, signore e signori: impegniamoci per l’inclusione».
Grande soddisfazione per il campionissimo NBA
Kobe Bryant, vincitore dell’Oscar per Il Miglior Cortometraggio animato,
Dear Basketball, tratto dalla lettera con la quale, nel novembre 2015, il cestista annunciava il suo ritiro. Il cortometraggio, realizzato in collaborazione con
Glen Keane, che aveva lavorato alle animazioni di cult come
Aladdin e
Tarzan, e con il compositore
John Williams, aveva già vinto il premio principale degli Annie awards, il riconoscimento più importante dedicato ai film d’animazione. Soddisfazioni anche per l’Italia, con
James Ivory, che a 89 anni è stato il più anziano vincitore di un Oscar competitivo, per la sceneggiatura di
Chiamami col tuo nome,
il discusso film di Luca Guadagnino, tratto dall’omonimo romanzo di
André Aciman,
che aveva già vinto i Bafta, per il migliore adattamento.
Miglior film straniero per A Fantastic Woman, del regista cileno Sebastian Lelio, mentre Icarus, di Dan Cogan e Bryan Fogel, che hanno raccontato la storia del famigerato doping di Stato che ha portato all’esclusione della squadra della Russia alle olimpiadi invernali, ha vinto l’Oscar per il Miglior documentario. Miglior sonoro, montaggio sonoro e montaggio per Dunkirk, di Christopher Nolan, Migliori costumi per Il filo nascosto e non poteva essere altrimenti, visto che la pellicola di Paul Thomas Anderson è ambientata nel mondo della moda londinese degli anni cinquanta. Collezionista di nomination, da Fargo a Non è un paese per vecchi, passando per Il Grinta e Skyfall, questa volta Roger A. Deakins riesce ad aggiudicarsi il premio per Miglior fotografia, per il suo lavoro in Blade Runner 2049.