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Si chiude l’ultimo capitolo pittorico di quella che fu l’immensa fase russa della pittura di regime comunista, oggi, con la morte del 93enne Andrey Mylnikov, pittore del dopoguerra e dei Campi di pace, Presidente della Fondazione della Cultura Russa di San Pietroburgo e Vice Presidente dell’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo e dell’Accademia Russa delle Arti.
“L’artista del popolo sovietico”, come era stato soprannominato durante il regime, era stato per decine d’anni uno dei pittori più osannati agli alti vertici del potere, che aveva contribuito a rendergli una fama immensa in patria, che era valsa alle sue opere collocazioni di prestigio in tutti i principali musei del Paese.
Una storia, quella del Realismo Socialista, nata nel 1934 e che si era estesa diffusamente in tutti i Paesi dell’Est europeo, affondando le radici nella tradizione accademica. Ma mentre nell’ambito cinematografico uno dei maggiori realisti è stato Ejzenstein, sperimentatore e innovatore con Dziga Vertov dei linguaggi della settima arte, nella pittura ci si rifaceva molto spesso a esperienze simboliste, modalità ideale per descrivere propagandisticamente la realtà della nuova Unione Sovietica.
Recentemente le opere di Mylnikov erano state in mostra a Roma, a Palazzo delle Esposizioni, nell’ambito della mostra “Realismi socialisti. Grande pittura sovietica 1920 – 1970”.