Una gigantesca Rihanna di cartone acefala ed in bikini accoglie i visitatori della nona edizione della Berlin Biennale – uno dei most wanted tra le kermesse dell’arte contemporanea, fresco di vernice ed in corso fino al prossimo 18 settembre – ammiccando dal suo décolleté nel cortile del KW Institute for Contemporary Art di Berlino.
Ewaipanoma (Rihanna) (2016), dell’artista colombiano Juan Sebastiàn Pelàez, è l’ultimo lavoro della serie di cartoni sagomati gargantueschi che ritraggono corpi umani senza testa, immortalati in pose atletiche, bikini sportivi, o mentre si lasciano fotografare in vistosi e lussuosi abiti da sera coi riflettori puntati. Le figure hanno la faccia surrealmente integrata nel torace. I soggetti sono presi in prestito da regine del pop e stelle del calcio di Caraibi e America Latina, ossia l’odierna élite del “Nuovo Mondo”.
Nelle sue sculture e nei suoi lavori bidimensionali, Juan Sebastiàn Pelàez esamina la convergenza o la frizione tra resistenza politica, social media e circolazione delle immagini nell’era del capitalismo avanzato. Pelàez adotta un approccio post-post-coloniale alla diffusione dell’immagine digitale, guardando alla circolazione dell’immagine contemporanea come ultimo paradigma di un sistema di mercato globale antico odierno, che perpetua la stessa Storia di sfruttamento e repressione. La leggerezza stilistica apparente delle sue installazioni ne contraddice la sostanza critica più profonda. Superficialmente, l’opera sembra commentare il fascino mostruoso nella “cultura delle celebrity” del culto del corpo connesso al trend della sua modificazione. Ma le radici dell’opera risiedono in realtà da qualche altra parte. Pelàez ha modellato le sue immagini sulla falsa riga di racconti e disegni di esploratori del Nuovo Mondo e del continente africano nel XXVII secolo come Sir Walter Raleigh, che, tornati a casa, hanno descritto i cosiddetti “Blemmyae”, nativi nudi senza testa e con il volto sul torso o, come nell’Otello di Shakespeare, “uomini le cui teste crescono al di sotto delle spalle”. L’opera connette gli stereotipi globali degli immaginari e delle proiezioni dell’alterità agli abitanti odierni dell’America Latina, assestando un vero e proprio gancio umoristico al mito maniacale onnipresente dell’esotismo ed alle sue derive distorte. (Silvia Eleonora Longo e Marica Rizzato Naressi)