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Ci sono opere in grado di durare ben oltre la nostra immaginazione, scaturite da azioni semplici, addirittura istintive, come quella di gettare un seme. E poi, da tale struttura minima, la capacità di generare un mondo. Il nostro ormai è quasi del tutto consumato ma non tutto è perduto. La pensano così Andreco e Sara Alberani, che abbiamo raggiunto in occasione del finissage di “Future Landscape”. La mostra, visitabile fino al 19 maggio all’auditorium Parco della Musica di Roma, chiuderà alla Riserva Naturale Valle dell’Aniene dove, dalle 15 alle 19, i cittadini saranno invitati a partecipare alla piantumazione collettiva di piante scelte dai ricercatori e dall’artista, nell’ambito del progetto REMEDIATION, per la mitigazione della contaminazione del suolo e dell’aria e per la rigenerazione delle aree ripariali.
La questione ambientale è diventata improrogabile e riguarda direttamente non solo la macropolitica ma anche le nostre abitudini quotidiane. In questo senso, quali sono le strategie e i progetti portati avanti dall’associazione Climate Art Project?
Andreco «La crisi ambientale e climatica rappresenta un’urgenza senza precedenti. Il nome Climate Art Project viene dall’omonima pratica artistica, che ho iniziato nel 2015 a Parigi in concomitanza della conferenza del Clima COP21. La pratica consiste nel mettere in rete scienziati, istituzioni, operatori dell’arte, attivisti e società civile per realizzare interventi che, attraverso il linguaggio dell’arte, contribuiscano al dibattito internazionale sui Cambiamenti Climatici. L’associazione, è nata nel 2018, inizialmente per supportare la parte di divulgazione scientifica del progetto, ha poi preso una veste locale, ovvero si è focalizzata su interventi nel territorio della capitale, in particolare nella Riserva Naturale della Valle dell’Aniene, vicina al quartiere dove abito, per contribuire alle cause ambientali anche a livello locale e non solo globale.».
Sara Alberani «Il dialogo con Andreco e il suo lavoro come artista e ingegnere ambientale mi hanno permesso di curare all’interno dell’associazione processi artistici ampi in termini di tempo e di pratiche diffuse sul territorio. La mia tesi di laurea come storica dell’arte era focalizzata sul laboratorio come opera d’arte, su quelle pratiche che alcuni artisti, come Andreco, portano avanti con le comunità coinvolgendole all’interno dei processi. E’ da qui che siamo partiti immaginando un lavoro su Roma il più possibile legato alle aree verdi – è la città più verde d’Europa – e agli aspetti storico-artisti, sociali e ambientali che le attraversano.
Così nasce Plantae, un progetto inisieme ai cittadini di ricostruzione delle memorie sul verde al Parco delle Valli (Valle dell’Aniene) prima degli anni della grande speculazione edilizia e con una mostra di disegni e sculture di Andreco in un luogo poco utilizzato dall’arte contemporanea, la Biblioteca Angelica e i suoi preziosi volumi dei naturalisti del passato. Il progetto Aquae si è svolto a Villa Sciarra, in collaborazione con Wunderbar Projects, indagando la mitologia del luogo: la fonte sacra antica e la dea Furrina a proteggerla, di ispirazione per la performance creata da Andreco. Il programma era molto articolato: Elena Bellantoni ha lavorato con azioni di rammendo alle statue e agli alberi mutilati della Villa e con Stalker abbiamo camminato nuovamente al Parco delle Valli, per comprendere un territorio denso di abitazioni informali e con un alto livello di inquinamento alla foce del fiume Aniene».
Andreco, spesso le tue opere sono “attivate” dal dialogo con le suggestioni del contesto ambientale in cui sono inserite. Nel caso della mostra all’Auditorium, come si è sviluppato questo rapporto?
«Lo spazio espositivo è legato concettualmente ad altri spazi nella città, sicuramente alla Riserva Naturale dell’Aniene, dove avviene il public program, ma anche ad un luogo immaginifico, il “paesaggio futuro”. Il paesaggio del presente è sempre più antropizzato ed inquinato, come sarà il paesaggio del futuro?
Lo spazio Auditorium Arte è composto da due sale, una interna che abbiamo deciso di oscurare completamente per proiettarvi dei video che rimandano ad ancora altri luoghi e tempi e una che ha un’intera parete di vetro su strada. Questa sala luminosissima è perfetta per quello che avevo in mente: “trincee di piante capaci di depurare gli inquinanti metallici dal suolo (felci e canapa)”. L’installazione è un omaggio alle reazioni chimico-fisiche che avvengono nelle piante e permettono di bonificare i terreni contaminati.
L’ambito di studio di questi processi si chiama Fitorimedio, più in generale si parla di Fitotecnologie o Nature Based Solutions, tematiche a me da sempre molto care. Sono circa dieci anni che utilizzo le piante nelle mie istallazioni per questo motivo».
Il 19 maggio, si terrà una piantumazione collettiva e una camminata esplorativa, nella Riserva Naturale dell’Aniene. In cosa consisteranno questi momenti? È un invito alla responsabilità?
Andreco «Il progetto mette in relazione lo spazio espositivo con un’azione nella Riserva dell’Aniene, coinvolgendo scienziati e ricercatori di CNR, Sapienza e Università della Tuscia, l’Onlus che gestisce il parco, Insieme per l’Aniene e la società civile.
Credo che l’azione partecipativa sia responsabilizzante e che la questione ambientale necessiti di un interesse collettivo. Abbiamo analizzato il suolo sia nell’area ripariale che in quella destinata agli orti urbani della Riserva dell’Aniene, riscontrando la presenza di alcuni metalli pesanti, principalmente Cadmio e Berillio, di cui abbiamo dato comunicazione in un Talk pubblico.
Nei punti dove abbiamo trovato la contaminazione metteremo a dimora le felci e la canapa che compongono l’installazione della mostra Future Landscape. A distanza di alcuni mesi analizzeremo di nuovo i terreni e le piante per vedere se sono riuscite a decontaminare il suolo, cercheremo le cause ed ipotizzeremo possibili soluzioni per il problema della contaminazione.
In sostanza sto coordinando un piccolo progetto di ricerca sul campo, che per me non è solo un progetto pilota e di divulgazione scientifica, ma anche un’opera. Infatti, questa azione sul campo e l’installazione all’auditorium fanno di “Nature as Art” la mia pratica artistica che elegge ad opera i processi chimico-fisici, studiati dagli scienziati, che avvengono nelle piante quando depurano gli inquinanti. A lungo termine il progetto Remediation mira a chiedere la depurazione del fiume Aniene e la tutela attraverso un parco fluviale».
Sara «Attraverso l’azione di piantumazione lo spazio espositivo – in cui sono presenti le piante – si lega ad un’azione di rimedio direttamente sul territorio e insieme alle comunità locali. Oltre che dichiararsi come un’azione performata insieme ai partecipanti, quindi all’interno del processo artistico, questo gesto permette di avere un riscontro concreto anche nell’ambito delle tematiche ambientali e di cura nei confronti dell’ecosistema, un aspetto che reputo di fondamentale importanza e che si colloca all’interno delle social practice nei progetti di arti contemporanea».
Sappiamo che le piante sono tutt’altro che inanimate ma se potessero addirittura scrivere un libro, parlerebbe di…
Sara Alberani «Parlerebbe di taumaturgia, dal greco thayma: miracolo, prodigio, cosa meravigliosa, e da oyrgos: organo, strumento. Sono organi in grado di operare miracoli dei quali noi non siamo capaci, come trasformare l’anidride carbonica in ossigeno, rendere possibile la vita su questa terra, svilupparsi in rizomi, rimediare l’ambiente intorno a loro, adattarsi alle condizioni che la fissità apparente loro impone».