09 giugno 2016

L’elefante Nanni Balestrini, tutto in un giorno. Ecco l’omaggio al grande artista, poeta, attivista, ai Frigoriferi Milanesi

 

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Si sono messi tutti in fila, per omaggiare un caposaldo dell’arte italiana e protagonista indiscusso della letteratura, dell’attivismo, dell’editoria, e anche della mostra “L’inarchiviabile”, a cura di Marco Scotini, ancora in scena ai Frigoriferi Milanesi. Stiamo parlando di Nanni Balestrini, soggetti di una giornata di “gloria” che di solito si dedica agli scomparsi, mentre lui è ancora qui – e per fortuna! – a raccontare di una carriera folgorante e, come hanno rimarcato molti ospiti alla tavola rotonda, durata dalle 14 alle 20 di ieri, molto spesso nell’ombra. Non un’ombra dovuta ad una mancanza di comprensione, a una “dimenticanza” del pubblico o degli addetti ai lavori, no. Si tratta di un’ombra creativa, dove la personalità di Balestrini diventa essa stessa opera, in un processo di arte totale che avvampa a partire dai primi anni ’60, con l’aderenza al Gruppo 63 e a quell’ultima fiammata di Neorealismo in letteratura, che scandalizzò parecchi, e tra le cui fila vi erano anche Achille Bonito Oliva e Giulia Niccolai, altri due ospiti che ai FM hanno ricordato la potenza di Balestrini.
«Sarebbe meglio dire dei Balestrini, cognome plurale per indicare una personalità che genera rabbia in chi la osserva, perché non si sa chi sia, e dove sia», ricorda scherzosa e fascinata Niccolai. «La sua tecnica poetica – ha ricordato – è riuscita a inserirsi in tutte le azioni della vita, ma senza mai essere in prima linea. Defilato». 
Tra i momenti più intensi, in quello che è assomigliato davvero a un simposio degli anni ’70, fresco di quarant’anni e dai pochi fronzoli, nella sala Carroponte, c’è stata anche la rilettura sincopata di quel poema che è Blackout, vera e propria epica contemporanea scritta “in diretta” e che prende i toni della cronaca, di avvenimenti che vengono ritagliati, montati con altri materiali e convenzionalmente messi in versi. Ecco un esempio pazzesco e vertiginoso di quel cut-up iniziato da William Burroghs che in Nanni Balestrini trova forse la migliore espressione in lingua italiana, al di là della Poesia Visiva e di tutti gli esempi presenti tra le arti “figurative”. 
«Balestrini è stato artista in terza persona, che ha usato il linguaggio come corpo estraneo. Si potrebbe dire che è anafettivo, trovolto da disaffezione. Freddo», è il resoconto di ABO, che tira in ballo anche Lacan e il Mito di Narciso, figura che incontra la morte per nessun sintomo di onanismo, ma solo per la volontà di incontro con l’altro, con quel doppio inquieto e affascinante che ci troviamo di fronte. 
Ma chi è, insomma, Nanni Balestrini? Un ritratto efficacie lo mette a disposizione Manuela Gandini, curatrice del simposio con lo stesso Scotini, che tira fuori una storia dalle origini (forse) sufi: in una comunità di ciechi arriva un elefante, ma data la condizione degli abitanti nessuno sa identificarlo: chi tocca le zanne dice di avere a che fare con lance affilate, chi tocca le gambe parla di “alberi”, chi ha a che fare con la coda racconta di una grande corda. Tutte definizioni poetiche, e forse giuste, ma che non rivelano in realtà un’identità ben definita: l’arte di Balestrini.
«Nanni è il David Bowie della poesia italiana», ricorda lo scrittore Aldo Nove, che punta il dito sulla capacità dell’artista di anticipare, di cogliere in contropiede lo spettatore, di riuscire ad andare contro e a scardinare il conformismo della provocazione. E a vivere “semprepresente”. «Perché è il presente dove avviene tutto», ricorda Nove. E Balestrini, qualche pezzo di questo “Tutto” lo è riuscito a comporre. 

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