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Era il caldo luglio del 2006. Giava e Bali erano state appena colpite dalla sciagura dello tsunami, lo scandalo delle intercettazioni Telecom-Sismi doveva venire alla luce e la nazionale italiana si laureava ai mondiali di calcio, superando in finale gli odiati cugini francesi. Era l’epoca in cui avere un Blackberry voleva dire stare al passo con il mondo e nelle televisioni nazionali passava ininterrottamente il jingle per cellulari “Materazzi ha fatto goal”, magistralmente interpretato dal mai-abbastanza-celebrato Wladimiro Tallini. “Adesso ridacci la nostra Gioconda”, cantava uno spensierato e gaudente Tallini, nella pubblicità degli abbonamenti truffa 4888 e, oggi, nel 2018, un’altra gloriosa strofa si aggiunge a quel capolavoro di armonia poetica: «Da Vinci in Francia ci è solo morto».
L’elegia è stata declamata dalla leghista Lucia Borgonzoni che, laureata in arti figurative all’Accademia delle Belle Arti di Bologna e nipote dell’artista e partigiano Aldo Borgonzoni, sembra proprio avere tutte le carte in regola per ricoprire l’incarico di sottosegretaria al Ministero per i beni e le attività culturali. E magari anche per rinnegare l’accordo stretto nel 2017 tra Dario Franceschini e il Louvre di Parigi che, a settembre del 2019, organizzerà una grandissima mostra monografica per celebrare il quinto centenario della morte di Leonardo da Vinci, nell’ambito di un calendario di eventi in praticamente ogni angolo del mondo. Perché è di Leonardo da Vinci che si parla, cioè di un genio che, per definizione, travalica confini di ogni tipo. Un campione che non conosce ruoli, un po’ come Fabio Grosso, che non te lo aspetteresti da quell’umile terzino di provincia un goal da numero 10 di razza, come quello messo a segno nella semifinale contro la Germania. Altra bestia nera della Lega, quasi come Macron.
E così il Louvre, orgoglio transalpino, che si muove con quella maestosa sicurezza che ben si addice al museo più importante del mondo, ha chiesto la totalità dei dipinti e dei disegni di Leonardo nelle collezioni pubbliche italiane, eccezione fatta per l’Adorazione dei magi, che si trova agli Uffizi e che è inamovibile. Si tratterebbe dell’Uomo vitruviano, degli studi della Battaglia di Anghiari dell’Accademia di Venezia, della Scapigliata della Galleria nazionale di Parma, del Musico della Biblioteca Ambrosiana, del San Girolamo dei Musei Vaticani, dell’Annunciazione degli Uffizi. A parte l’emozione nell’attraversare le sale in cui sarebbero riuniti tutti questi capolavori, si tratta di una operazione espositiva enorme anche dal punto di vista allestitivo e organizzativo, di quelle che fanno la storia delle mostre. Come del resto è già da memorabilia il Salvator Mundi pagato la stratosferica cifra di 450 milioni di dollari – soldi del Dipartimento della Cultura degli Emirati Arabi Uniti – come munifico regalo per la nuova sede del Louvre di Abu Dhabi. A proposito, non si sa ancora quando sarà esposto. Forse per i dubbi sulla sua autenticità, potrebbe malignamente pensare qualcuno?
Autenticamente italiano invece è Leonardo Da Vinci, anche se l’Italia ai suoi tempi era forse solo più una idea che una entità nazionale sancita da una carta costituzionale e, oggi, anche da cori un po’ stonati di voci bianche e di altri colori. «Leonardo è italiano, in Francia ci è solo morto. Lui non è Leonardò come lo chiamano loro ma Leonardo, e dare al Louvre tutti quei quadri significa mettere l’Italia ai margini di un grande evento culturale, anche perché pure i Lincei stanno preparando una loro mostra per agosto. Bisogna rimettere tutto in discussione. Nel rispetto dell’autonomia dei musei, l’interesse nazionale non può essere messo in second’ordine. I francesi non possono avere tutto», ha vivacemente espresso Borgonzoni al Corriere della Sera.
Da cosa nasce cosa, infatti, come da sempre accade in questi comunissimi accordi tra istituzioni culturali e museali, negli accordi era prevista la formula del do ut des, consistente in un prestito delle opere di Raffaello di proprietà del Louvre, per la mostra dedicata all’urbinate, in calendario alle Scuderie del Quirinale nel 2020. Ma evidentemente per Borgonzoni non è la stessa cosa, Raffaellò non è Leonardò. (mfs)