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Era il 3 giugno del 1968 e mancava poco a mezzogiorno. Sulla necropoli di Tempa del Prete, a 1,5 km a sud di Paestum, il cielo era scuro e carico d’acqua. Un gruppo di scavatori, nell’esaminare le quattro sepolture rinvenute a seguito dei lavori per la realizzazione di un cavalcavia, riportò alla luce la Tomba del Tuffatore, sottraendola, di fatto, al proprio destino di oblio e fornendo agli studiosi uno dei più stimolanti enigmi di semiotica dell’arte visiva.
A cinquant’anni di distanza dalla scoperta, la mostra “L’immagine invisibile”, visitabile fino al 3 ottobre e organizzata dal Parco Archeologico di Paestum con la curatela del direttore Gabriel Zuchtriegel, rinvigorisce il dibattito interpretativo tra chi la vuole espressione del realismo e chi la riferisce a una più profonda cultura legata ai culti misterici di matrice dionisiaca e orfica, come sostenuto da Mario Napoli, Soprintendente incaricato durante il periodo del ritrovamento.
Le 50 opere esposte, databili tra il VI Secolo a.C. e gli ultimi anni dello scorso millennio, sono il contraltare iconografico che, nelle intenzioni di Zuchtriegel, «Offre ai visitatori la possibilità di formare una propria opinione sul significato di questo tuffo. In tal senso “L’immagine invisibile” è una mostra democratica, che propone dubbi e non risposte. Al contempo, però, vuole essere anche un omaggio per tutti gli archeologi che negli anni hanno operato in questi luoghi». L’allestimento, firmato da Lucia Anna Iovieno, con l’alternanza di luce naturale e spazi bui, rimanda al percorso di palingenesi destinato agli iniziati delle sette misteriche ma anche allo stesso lavoro archeologico, che riporta alla luce ciò che è sepolto. Il sovrapporsi dell’interpretazione ottocentesca delle immagini antiche, orientata verso una lettura concettuale e metafisica, con quella descrittiva e realistica dei secoli precedenti, è racchiuso in una sequenza di opere che si apre con il Dioniso con il Tirso, del Museo Archeologico Nazionale di Napoli del I Secolo, per terminare con l’Orfeo trovatore stanco, dipinto da Giorgio de Chirico nel 1970. Le testimonianze di pittura vascolare, l’affresco delle danzatrici della Tomba di Ruvo, il grande dipinto di Guido Reni e aiuti, Bacco e Arianna, la tempera su tela di Antonio Canova, i dipinti di Francesco Netti, Antico pittore davanti alla sua opera e Coro greco, il Neofita di Corrado Cagli del 1933, il Tuffatore del Nino Migliori del 1951 e quello di Carlo Alfano del 1972, sono alcuni degli indizi proposti per la ricomposizione del quadro teorico.
Per Achille Bonito Oliva, che ha fatto parte del comitato scientifico, «La mostra ha il senso di sottrarre la Tomba del Tuffatore, iconica nella sua essenzialità, alla distanza temporale e di bucare la sintomatica disattenzione collettiva».
Il tuffatore è ancora in volo, sospeso nell’aria da 25 secoli, a ricordare, forse, che il più alto fine dell’uomo sia porsi domande. (Giovanna Bile)