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Nessuno le ha viste avvicinarsi, nonostante i colori accesi e la proverbiale lentezza. Sono comparse all’improvviso, seguendo un piano d’invasione calcolato al minimo dettaglio e a nulla è valsa l’ardita difesa tentata dai venditori di calzini e dai suggeritori di numeri al lotto. Ormai, l’esercito delle cinquantasette chiocciole ha superato i bancarielli delle tre campanelle e ha preso pieno possesso della Stazione Garibaldi, capolinea della Linea 1 della metropolitana di Napoli. Ma gli utenti della fermata progettata da Dominique Perrault non si fanno prendere dal panico, anzi, familiarizzano con le chiocciole che si arrampicano sui fasci di tubi di acciaio e sulle strutture di teflon, mentre le prime immagini vengono diffuse sui social network.
Questi animali di plastica rigenerabile e colorata, fanno parte dello zoo del Cracking Art Group, attivo dal 1993 e composto da Renzo Nucara, Marco Veronese, Carlo Rizzetti, Alex Angi, Kicco, William Sweetlove. Con il termine steam cracking si indica la reazione di pirolisi degli idrocarburi attraverso cui si ottiene l’etilene, un composto chimico che serve per produrre il polietilene, la comunissima plastica. Per gli artisti del gruppo, il cracking è un simbolo della trasformazione del naturale in artificiale, dell’ibridazione tra organico e sintetico ma, soprattutto, una modalità per produrre arte fuori scala e senza distinzione di luoghi. Come nel caso delle settemila chiocciole, rane, suricati, lupi, rondini, pesci angelo, in un centro commerciale di Orio al Serio, oppure dei mille delfini all’Arengario di Palazzo Reale, a Milano.
Le chiocciole napoletane accoglieranno i viaggiatori fino al 15 gennaio 2016, comodamente adagiate sui piani verticali e orizzontali della fermata dell’arte che ricorda un po’ la fantascienza d’antan, con le coperture in vetro sospese e le alberature d’acciaio, con i montanti giganti e le rampe scintillanti delle scale mobili che si incrociano a vista, con i passeggeri virtuali di Stazione, l’opera specchiante di Michelangelo Pistoletto. Se non fosse per i colori pop e l’aspetto decisamente user-friendly, si correrebbe il rischio di tramutare una visione futuristica in una realtà distopica, dove una razza evoluta di gasteropodi ha soppiantato gli esseri umani. Un perfetto scherzo alla Orson Welles. (Mario Francesco Simeone)