Sappiamo che non esiste solamente un’arte eurocentrica, ma il programma di Istanbul Modern Cinema di quest’anno ci insegna che c’è una cospicua parte del cinema africano che ha arricchito con le sue immagini e le sue storie un po’ di contemporaneo, nonostante la macchina da presa nel continente africano sia presente da poco più di 50 anni. Una scaletta di dieci film dunque, da domani al prossimo 22 gennaio, presentati in una rassegna intitolata Afrika! da Mahir Saul, antropologo dell’Università dell’Illinois, alcuni dei quali hanno vinto in patria il Festival della Televisione di Ouagadougou (FESPACO), il più importante riconoscimento cinematografico.
I temi sono cuciti addosso agli abitanti del continente nero e alle sue storie. “The Wind”, presentato al festival del cinema di Cannes nel 1982 racconta della diversa estrazione sociale di due studenti innamorati che finiranno in carcere. “Sarraounia” invece mette in scena la resistenza di un gruppo di donne di fronte a coloni britannici nelle zone del Centro Africa alla fine dell’ottocento.
Si passa per “Faat kine” di Ousmane Sembene che lo (qua non ho capito , descrive questa storia?) descrive come un resoconto lontano dagli stereotipi che si leggono sulla situazione delle donne-eroi nell’Africa contemporanea e ancora “Dry Season”, racconto della trasformazione di un giovane attraverso un pellegrinaggio che ci avvicina alla storia contemporanea dell’Africa tropicale. Si arriva poi alla produzione più recente, “The Bloodiest”, del 2007, in cui nel buio della notte due giovani donne cercano di sbarazzarsi del corpo di un politico. Nonostante l’aspetto da parodia del lungometraggio si riscontrano una serie di influenze godardiane, sovrapposizioni e dissolvenze che danno al film una particolarità visionaria. Forse è vicino il momento in cui si smetterà di guardare all’arte e al cinema del africani con lo sguardo che si riserva ai cineforum. (matteo bergamini)