In una settimana dell’arte che si rispetti, non può mancare un art-tour in una delle zone più calde del contemporaneo di una città, specialmente se la metropoli in questione è New York, e specialmente se si tratta di Chelsea. E così, sotto la High Line, ci sono alcune chicche da non perdere.
Fabio Mauri, per esempio, con una mostra che occupa l’intero secondo piano di Hauser & Wirth (che hanno acquisito la Estate dell’artista italiano recentemente) nella vecchia sede della Dia Art Foundation. Qui trovano spazio, in una retrospettiva museale, una serie di opere che appartengono alle performance, riproposte cadenzate, in queste settimane, dalla galleria: Ebrea, L’Espressionista, Europa Bombardata, solo per citarne alcune. Una mostra, forse, addirittura troppo densa ma siamo pur sempre nel “tempio dei mercanti”, che sembra fare da contrappunto con un’altra serie di emozionanti mostre decisamente più minimali.
C’è il giovane Oliver Laric da Metro Pictures, con una video animazione inedita intitolata Year of the Dog, che continua il lavoro di Laric sulla metamorfosi, attraverso forme nere della natura (formiche, piante, insetti) che si stagliano e mutano su un “foglio” completamente bianco. Aggirato lo schermo, poi, troverete 3 cani di resina che vi danno le spalle. Visti frontalmente, però, scoprirete come le zampe diventano braccia umane, e come i volti sembrano quasi rispecchiare uno zoomorfismo che l’artista ricrea attraversando figure mitiche che partono dalla preistoria e arrivano al XVIII Secolo, per raccontarci la nostra natura ibrida e animalesca, e viceversa.
Lirismo puro, invece, da Gladstone, con Cyprien Gaillard e la sua Nightlife, uno splendido video da vedere full-screen a parete con occhiali 3D e che vi trasporterà a Los Angeles e all’Olympiastadion di Berlino, solo per dire un paio di luoghi, in un viaggio psichedelico nella notte, tra fuochi d’artificio e piante danzanti al vento, che scoprirete non essere autoctone della California ma perfettamente inserite in un contesto allucinato e che parla tutti i linguaggi che l’artista parigino (di casa tra Berlino e New York) ci ha raccontato in questi anni: entropia, “reliquie culturali”, tutela di paesaggio…per perdersi tra colori e buio.
Da non perdere anche Robin Rhode, da Lehmann Maupin con la sua “The Geometry of Colour”, dove l’artista mixa con stile coreografie e pittura, con l’ausilio dei muri di Cape Town, citando la pratica di Vito Acconci e Bruce Nauman e, allo stesso tempo, riuscendo a parlare di apartheid (Rhode è nato in Sudafrica) e questioni israelo-palestinesi.
Una bella retrospettiva di nuove opere di Robert Gober, con un trabocchetto tipico dell’artista, è da Matthew Marks, mentre non manca la fotografia con Robert Mapplethorpe e la sua più classica produzione, nella seconda sede di Gladstone e in una delle sedi di Jack Shainman, che porta il mitico Gordon Parks e le sue differenze sociali dovute colore della pelle (che per certi versi, ancora, si notano negli States, Grande Mela compresa) in scena.
A chiudere, in una settimana molto contemporanea, l’arte del Medioevo: “Of Earth and Heaven” da Luhring Augustine, in collaborazione con Sam Fogg. Qui Santi, Madonne, capitelli, crocifissi, icone e perfino una vetrata presa dalla Francia. Quantomeno curiosa.