Consegnato alla Fiac, la giuria ha voluto premiare l’artista che da oltre vent’anni sviluppa un lavoro personale basato sul rapporto tra scienza, astrofisica e arti visive: Melik Ohanian. La sua opera Portrait of Duration (2015, nella foto sopra), è composta da sette fotografie, montate su pannelli luminosi che si accendono un secondo al minuto, in successione una dopo l’altra, rivelando di foto in foto il passaggio dallo stato solido allo stato liquido del soggetto fotografato, vale a dire del cesio 133, un metallo molto morbido, duttile, usato soprattutto negli orologi atomici.
L’artista ci invita a sperimentare una rappresentazione della durata temporale in modo raffinato e personale. Il Prix Duchamp prevede una donazione di 35mila euro, e una personale del vincitore al Centre Pompidou prevista durante la primavera 2016. Gli altri artisti concorrenti e in mostra alla Fiac fino al 25, sono Davide Balula, Neïl Beloufa e Zineb Sedira. Caso o meno, tutti hanno presentato opere che avevano a che fare con la trasformazione, il cambiamento. Balula, classe 1978, rappresentato dalla galleria Franz Elbaz, presenta La Main dans le texte (2015). L’opera è composta da una serie di gettoni di ceramica attaccati a dei pannelli appesi alle pareti, che vengono staccati dalle pareti e discretamente fatti scivolare negli effetti personali degli spettatori da prestigiatori professionisti. L’idea che sviluppa l’artista è quella della disseminazione dell’opera, oltre che della sua continua trasformazione. Beloufa, classe 1985, è rappresentato dalla Balice Hertling, presenta Vengence (2014), un video di una quindicina di minuti realizzato insieme a studenti delle medie ed ha per soggetto il calciatore Cristiano Ronaldo. Il filmato viene presentato in una struttura aperta che permette al suo interno di sedersi, mentre al suo esterno delle telecamere di sorveglianza filmano rimandando le immagini su uno schermo. Zedira, classe 1963, rappresentata dalla galleria Kamel Mennour, presenta Down by River (2015), cartina geografica, cinque fotografie montate su plexiglas e tre in pannelli luminosi. L’artista s’ispira all’albergo di ghiaccio situato in Lapponia, che di anno in anno deve essere ricostruito, invitandoci a riflettere sulle relazioni tra l’uomo e la natura. (livia de leoni)