Vi piacciono Gauguin, Cézanne, Derain, Signac, Matisse, Monet, Degas, Picasso, e anche Rodtchenko e Braque? Bene, avete tempo fino al 20 gennaio per comprarvi un biglietto per Parigi e mettervi buoni buoni in fila alla Fondation Louis Vuitton per una mostra che ha dell’epocale: “Icônes de l’art moderne – La collection Chtchoukine”. Già, la mostra che Putin non ha visitato per il raffreddamento dei rapporti istituzionali con la Francia, nonostante le opere vengano tutte dall’Ermitage di San Pietroburgo e dal Pouchkine di Mosca.
Ce le aveva messe Stalin, con un decreto del 1948, che “scioglieva” la collezione dell’illuminato uomo d’affari Sergueï Ivanovich Chtchoukine (o Shchukin), iniziata nel 1898 a Parigi con l’incontro con il gallerista Paul Durand-Ruel comprando tra i 1902 e il 1904 le prime tele di Degas e poi, con il gallerista Ambroise Vollard, passando a Gauguin e Cézanne, fino alla formazione – nel 1919 – del “Museo della Nuova Pittura Occidentale” che nel 1922 diverrà “Museo d’Arte Moderna Occidentale – GMNZI).
Nel 1936 Chtchoukine viene a mancare, e dodici anni dopo le opere che avevano arredato in principio la residenza dell’imprenditore a Palazzo Troubetskoï (aperto al pubblico nel 1908), subiscono appunto la scissione nei due musei statali.
Una storia d’altri tempi, meravigliosa e allo stesso tempo piena di politica, elemento che sulle pareti della Fondation Vuitton però non si vede. Quello che si vede, invece, è la meraviglia di scoprire riunite per la prima volta in Europa le opere che componevano La sala rosa della residenza, con Matisse e La Desserte (foto sopra) e La Danse e La Musique o, al secondo piano, dei Gauguin (in home page) che mancano da sempre alla Francia ma che hanno riempito i libri di storia dell’arte e il nostro immaginario. Senza contare, appunto, i paesaggi Impressionisti, il cubismo, i Fauve, e gli immancabili Still Life. Le sale non sono moltissime, 14 in tutto, le opere non sono migliaia, ma tanto meglio: l’impressione è quella di tuffarsi nel mitico, senza passare per esagerati. Mai titolo è stato più azzeccato, e la Vuitton – così – pare riacquistare un po’ di spessore, dopo il “lavoro in situ” di Buren che ha trasformato la “nave” di Frank Gehry in technicolor, con un effetto parecchio discutibile.