Chiunque si approcci al lavoro di uno degli artisti coinvolti nel progetto “POIUYT” non può fare a meno di provare un certo grado di sconcerto. La mente, dice Bateson parlando di cesura, tende a colmare attraverso esperienza e intuizione il vuoto di informazioni che si trova di fronte. Se vedo un albero, ma tra me e l’oggetto osservato si trova un cavallo, sono portato a pensare che dietro al cavallo che mi ostruisce la visuale, ci sia la porzione di albero a me nascosta.
La stessa cosa accade osservando i lavori di Alessandro Sambini, The Cool Couple e Discipula. Tutti e tre concepiscono le loro opere come prodotti che occultino la matrice artistica. Vedendole, i primi riferimenti che lo spettatore ha, sono proprio quelli da cui viene normalmente cannibalizzato, le immagini televisive o fotografiche della pubblicità, dei mass media, di internet. Di fronte alla cesura, chi guarda deve iniziare a scavare per trovare le proprie risposte. Che cos’è che vogliono mostrare, questi artisti? Quello che fanno vedere, o quello che occultano? Chiediamo a Francesca Lazzarini, curatrice del progetto insieme a Gaia Tedone, di guidarci in quest’esperienza che ha dato vita a una prima mostra a Trieste, alla MLZ Art Dep, “POIUYT. Punto Zero. Pratiche critiche nella fotografia contemporanea italiana”, visibile fino al 18 giugno, e la cui piattaforma verrà presentata alla Galleria Michela Rizzo di Venezia il prossimo 11 maggio alle ore 12.
Come nasce un progetto così complesso e dal nome tanto semplice da scrivere, se si conosce la sua genesi?
«Il titolo del progetto, POIUYT, è nato dal pensiero collettivo di un gruppo di otto componenti tra artisti e curatori, e altro non è che la stringa delle ultime sei lettere della tastiera del computer digitate all’inverso, con massima libertà di pronuncia. Il progetto ha origine da un’idea emersa durante i workshop di Francesco Jodice per Fondazione Fotografia a Modena. La consapevolezza che questa pratica artistica in Italia fosse legata tanto strettamente al paesaggio, ha stimolato in alcuni il desiderio di prendere nuove direzione. Da qui il coinvolgimento, a tempi maturi, dei tre soggetti, in parte plurali, Alessandro Sambini, The Cool Couple (Simone Santilli e Niccolò Benetton) e i Discipula (Mirko Smerdel, Marco Paltrinieri e Tommaso Tanini). A loro si aggiungerà presto la co-curatrice Gaia Tedone.»
Ci puoi spiegare come si articola, nel suo complesso, il progetto?
«La prima tappa è stata la mostra triestina Punto Zero, l’occasione per presentarci e far capire il tipo di ricerca che ogni artista porta avanti, a prescindere da quello che accadrà nelle prossime fasi di collaborazione. In questo caso sono stati portati lavori storici o nuovi progetti del tutto innestati nell’identità dei singoli. L’11 maggio, quello che presenteremo a Venezia per la Michela Rizzo, galleria sostenitrice di POIUYT insieme a MLZ Art Dep e Metronom di Modena, sarà un sito web in grado di dar conto di una ricerca che immaginiamo stabile, un luogo di confronto permanente tra soggetti che condividano una certa idea di fotografia, non solo intesa come un linguaggio artistico, ma come un vero e proprio punto di osservazione politico del mondo in cui siamo immersi. Gli artisti dialogano proprio con le forme e i concetti, tanto incisivi, della comunicazione di oggi. Su questo si propone una riflessione non passeggera, ma stabile. L’11 maggio verranno presentati anche i contributi che artisti quali Fabrizio Bellomo, Francesco Jodice, Bruno Baltzer & Leonora Bisagno e il duo svedese Klara Källström & Thobias Fäldt hanno dato a questa fase iniziale del progetto.»
Qual è l’idea di curatela che sta alla base di un progetto di questa complessità?
«In primo luogo c’è stato da subito un forte desiderio di confronto, che si è concretizzato in ore e ore di incontri e riunioni. Una mostra unica ci sembrava troppo poco, per questo abbiamo scelto un percorso che desse la possibilità ad un pensiero di crescere anche al di là del mondo artistico tout court. L’obiettivo era ed è quello di metterci in gioco nei processi, creando interesse e interrogativi. Non vogliamo accettare la realtà data così com’è, e nel farlo vorremmo poter dialogare con soggetti appartenenti ad ambiti culturali diversi, i più vari possibile.» (Andrea Penzo + Cristina Fiore)